Si può essere d’accordo con lui o mal sopportarne il rigido credo e quel suo stare spesso col nasetto all’insù, ma la paternità della notizia scientifica nel nostro piccolo gastrocosmo spetta ancora a Dario Bressanini.
Oggi, dopo il successo di “Pane e Bugie”, uscito nel 2010 e arrivato alla sesta edizione, esce sempre per i tipi di Chiare Lettere “Le bugie nel carrello”.
Prima che venga mediaticamente sballottato, potete leggere in anteprima alcuni brani del libro, senza astenervi dal dire, ma questo è ovvio, se siete e quanto con lo sci-blogger di Scienza in cucina.
PIZZA e MOZZARELLA DI BUFALA
La pizza preparata con la mozzarella di bufala ha di solito un costa superiore. Useranno quella vera? Nel 2008 un gruppo di ricercatori italiani ha cercato di capire se il test per distinguere la mozzarella di bufala da quella vaccina, basato sulla differenza tra le caseine prodotte dai due animali, fosse utilizzabile anche dopo la cottura.
E hanno scoperto che, nonostante le alte temperature raggiunte dalla pizza in forno, la caseina rimane abbastanza integra da permettere il riconoscimento.
L’indagine su sette pizze surgelate industriali e sette acquistate in pizzeria, a Lodi e in diverse località della Campania, ha dato risultati sorprendenti. Quattro pizze industriali utilizzavano solo mozzarella di bufala, come indicato sulla confezione, mentre le altre tre mostravano una contaminazione da mozzarella vaccina del 5 per cento.
Fra le pizze acquistate in pizzeria invece, solo due contenevano pura mozzarella di bufala, mentre in tre casi il formaggio utilizzato era quasi esclusivamente di vacca.
Stupiti da questo risultato, i ricercatori hanno acquistato in 50 pizzerie della Campania altrettante pizze preparate, come dichiarato nel menu, con sola mozzarella di bufala.
I risultati sono stati sconcertanti: l’80 per cento delle pizze conteneva anche mozzarella di vacca, in un terzo dei casi addirittura in percentuale quasi esclusiva.
Permettetemi ora una piccola nota gastronomica: a mio parere per la pizza è più adatta la mozzarella fiordilatte. Quella di bufala, più acquosa, rilascia troppi liquidi che rischiano di rammollire la pasta.
MORTADELLA ZERO CHIMICA
Recita lo slogan nel cartellone di una mortadella: “Suprema Fiorucci. Zero chimica, 100 per cento naturale”. Il tipico messaggio pubblicitario che fa salire il sangue alla testa a un chimico come me.
Che cosa significa che una mortadella è “100 per cento naturale”? Non mi risulta che esistano alberi su cui crescono mortadelle pronte da staccare, affettare e mettere nel panino.
Che vuol dire “zero chimica”? Forse che nella mortadella Fiorucci non ci sono le molecole?
Notate che la pubblicità non dice “zero additivi” o “zero conservanti” come accade per prodotti di altre marche, visto che alcuni consumatori preferiscono non acquistare salumi contenenti conservanti come il nitrito di sodio (E250).
Nel nostro corpo i nitriti possono trasformarsi in composti cancerogeni chiamati nitrosammine.
Il fatto è che, per il piacere di addentare un panino con il salame o la mortadella, accettiamo di ingerire una minima quantità di conservanti: un accorgimento per sfuggire al rischio peggiore di contrarre il botulino.
Non volete esporvi al rischio di contrarre il cancro né a quello di prendervi il botulino? Non c’è problema: non mangiate salame, mortadella, speck o altri salumi che solitamente contengono nitrati e nitriti.
Mentre mi aggiro per il supermercato con il mio carrello vedo finalmente la mortadella Fiorucci sugli scaffali e decido di acquistarla. Prendo in mano la confezione e sul davanti della busta trovo stampata la scritta “ingredienti naturali”. E sotto, tra parentesi e in caratteri più piccoli: “Senza conservanti e antiossidanti di origine chimica“.
Dal punto di vista scientifico è una frase priva di senso. Tutto è chimica, perché ogni cosa è fatta di molecole. Ecco perché sulla confezione non c’era scritto “zero conservanti”: questa mortadella i conservanti li contiene, solo che il consumatore non li vuole vedere neanche di striscio, quindi conviene dirgli che si tratta di una sostanza naturale.
Giro la confezione e leggo l’etichetta. C’è il nitrito di sodio!. Ma come? Allora mi prendono in giro. Che sia di origine naturale o meno, è pur sempre nitrito di sodio, con le sue proprietà.
Quanti consumatori sono stati indotti dalla campagna promozionale a pensare che questa mortadella non contenga conservanti?
MAZZANCOLLE E INGANNEVOLI COLORANTI
Al banco del pesce, nella sezione dei prodotti “pronti da cucinare”, ho visto delle mazzancolle confezionate. Lo so, si dovrebbero comprare appena pescate, ma nella piccola cittadina della provincia lombarda dove vivo è difficile trovare pesce fresco.
Spesso anche i prodotti che si vedono adagiati su un letto di ghiaccio sono in realtà surgelati e decongelati, quindi se uno vuole mangiare pesci, molluschi o crostacei si deve adattare.
Le mazzancolle crude sono grigie e diventano arancioni con la cottura. A giudicare dal colore, quelle confezionate che ho trovato sul bancone devono essere state almeno in parte cotte. Da chimico mi dico: “Avranno sicuramente messo dei conservanti, per poterle confezionare e vendere”. Non me ne lamento: i conservanti hanno una funzione ben precisa, conservano l’alimento per un po’ e lo mantengono commestibile scongiurando il deterioramento, la proliferazione di batteri e muffe, il rischio che possa farci male.
Molti consumatori sono ostili ai conservanti, chi non li vuole dovrebbe comprare cibi freschi.
Avvicino meglio l’etichetta delle mazzancolle per leggere i caratteri microscopici ed effettivamente trovo un conservante, l’E223 (metabisolfito di sodio). C’è anche un correttore di acidità, l’E330 (acido citrico), che serve sia a mantenere basso il pH, in modo da ritardare la proliferazione batterica, sia a mantenere vividi i colori.
Però accanto a questi additivi che mi aspettavo, ne trovo altri completamente inattesi.
Due coloranti, più precisamente l’E110 (giallo arancio S) e l’E122 (azorubina). Sono del tutto legali, poiché mi fido delle istruzioni, non starò a chiedermi se facciano male.
Però mi chiedo: perché ce li hanno messi? Che motivo c’è di colorare dei crostacei che diventano arancioni quando li cuoci? La presenza di questi coloranti mi fa sentire ingannato.
I coloranti sono ovunque: negli aperitivi, nelle bevande gassate e nei gelati. Persino la margarina viene colorata di giallino per somiglia di più al burro. Però, ecco, nelle mazzancolle non mi aspettavo di trovarne. Un po’ come se io esponessi il tonno fresco all’ossido di carbonio per farlo sembrare più rosso di quello che è.
Morale: ho rimesso la confezione a posto e ho messo delle mazzancolle crude surgelate, senza coloranti. Almeno posso vedere come sono e decidere se mi ispirano.
VINI BIODINAMICI
Una domanda interessante è come mai l’agricoltura biodinamica stia prendendo piede quasi solo nella produzione del vino. Si sente parlare sempre più spesso di “vini prodotti con uve provenienti da agricoltura biodinamica”, e quasi mai di pomodori o lattuga ottenuti con lo stesso metodo.
Sul perché posso solo fare supposizioni. Prima di tutto il vino è molto più costoso dell’ortofrutta. I margini sono maggiori, sia per le aziende produttrici sia per i rivenditori (in enoteca una bottiglia può avere un ricarico del 300 per cento).
Se almeno una fetta di consumatori gradisce il prodotto, diventa relativamente facile assorbire il costo e l’impegno maggiore in vigna che le pratiche biodinamiche richiedono. Le visioni di Steiner (il filosofo dai cui corsi è nata l’agricoltura biodinamica) di forze cosmiche, corpi astrali, spiriti, energie vitali, risonanze celesti, del tutto prive di senso dal punto di vista scientifico trovano terreno fertile più nel vino che nel pomodoro.
Nel marketing del vino, specialmente di fascia alta, l’immagine e le suggestioni svolgono un ruolo fondamentale. E’ sicuramente facile prendersi gioco di Steiner e di quelle che sembrano le farneticazioni di un pazzo sotto l’influsso di allucinogeni, ma è importante ribadire che sono prive di senso scientifico, anche se decine di migliaia di persone nel mondo ci credono.
Anche l’oroscopo ha molti seguaci.
[Crediti | Link: YouTube, Scienza in cucina]