Oggi vi racconto una specie di favola ad alto valore pedagogico che titolerei “La storia di Amy&Samy, ovvero: la complessa arte di gestire un ristorante ai tempi dei social network”. Ma se questa specie di favola fosse solo per adulti cambierei il titolo in “La storia di Amy&Samy, ovvero: la coppia che disse più fuck di Gordon Ramsay”.
Veniamo ai protagonisti. Amy e Samy Bouzaglo sono i proprietari della Amy’s Baking Company Bakery Boutique & Bistro, un locale di Scottsdale, Arizona. Conti colabrodo, ristorante in crisi, recensioni negative (su Yelp e siti affini) come grandine. Non è nemmeno la bontà della cucina, non solo quella insomma, i clienti si lamentano dell’organizzazione farlocca e del personale super scortese. Per queste ragioni i due decidono di chiedere l’aiuto dell’eroe senza macchia, parannanza lucente e lingua tagliente interviene colui che trasforma le cucine da incubo in storie a lieto fine: Gordon Ramsay.
Il campione mondiale di vaffa, che Grillo in confronto è un debuttante, arriva con le telecamere di “Kitchen Nightmares” al seguito (il programma è la versione originale di “Cucine da Incubo” in onda negli Stati Uniti per l’appunto) e come da copione osserva Amy&Samy al lavoro. I due intascano le mance dei camerieri; raccontano di aver licenziato oltre 100 persone; in una scena epocale visibile qui, cacciano un cliente che aspetta una pizza da un’ora a suon di “Fuck you!” e “Piece of shit!”.
Il risultato? Colpo di scena: Ramsay spiega con inconsueto aplombe:
“Non è normale per un ristorante avere tanti dipendenti, 65 portate nel menù e un simile livello di astio dentro e fuori il locale. Fate come volete, lo stesso farò io uscendo da questo posto adesso e per sempre”
Mai successo in 100 episodi di Kitchen Nightmares, inusitatamente Gordon rinuncia alla missione uscendo di scena e la puntata finisce. Well done, Ramsay.
E’ a questo punto che inizia lo tsunami social.
Su blog, forum e social network si sprecano critiche e sfotto’ all’indirizzo del ristorante di Amy&Samy. Che rispondono sulla loro pagina Facebook con quelli che difficilmente chiameremmo capolavori di diplomazia.
E che, come vedete da likes e condivisioni, diventano subito virali.
Certo, l’Hello Kitty spiritata fatta di pasta di zucchero scelta come immagine del profilo doveva mettere in allarme.
Tempo due giorni e il divertimento finisce. I post vengono cancellati, il locale annuncia che il suo profilo Facebook è stato hackerato, e “le autorità locali e l’FBI (???)” stanno lavorando per scoprire il colpevole. Dato quanto si è visto in tv, e sapendo che la coppia aveva già creato profili falsi per replicare a commenti negativi su altri siti, restano molti dubbi sull’intervento dei pirati informatici.
Proviamo a ragionare.
Punto primo: abbiamo già discusso di quanto tutto in format quali “Kitchen Nightmares” o “Cucine da Incubo” sia tutto finto: pura fiction. Questo episodio sembra smentirci, niente happy ending previsto per contratto.
Punto secondo: visto l’interesse di social network, blog e siti di recensioni per i ristoranti, al limite del voyerismo, la tentazione di rispondere a critiche e insulti fa vacillare anche il ristoratore più imperturbabile.
Il sito della rivista americana Forbes ha tratto dall’episodio sette lezioni da dare a ogni ristoratore su come usare i social senza fare la figura dello psicotico, tipo: non reagire subito, non insultare, capisci quando tacere, e il sempre valido don’t feed the troll.
Anche ai ristoratori nostrani capita ogni tanto di perdere le staffe, con conseguente danno di immagine.
Ecco, se indossati gli atletici panni di Gordon Ramsay volessimo dare anche noi qualche consiglio, quale sarebbe?