Il critico gastronomico dev’essere anonimo? I pareri opposti di Camilla Baresani e Valerio M Visintin

Il critico gastronomico dev’essere anonimo? I pareri opposti di Camilla Baresani e Valerio M Visintin

Le stagioni che finiscono, le fotografie che sbiadiscono, i miti che crollano. Malinconia. Si deve sentire un po’ così, come d’autunno sugli alberi le foglie, il critico gastronomico americano che, uno dopo l’altro, getta la maschera. Prima Adam Platt del New York Magazine, ora Jonathan Gold, già premio Pulitzer, ultima vittima del dogma dell’incappucciato che oggi mostra il suo volto e dichiara la fine di un’epoca.

C’è una nota triste, ma triste davvero, nelle parole con cui il più invidiato food writer statunitense, ha dichiarato al grande pubblico la sua rinuncia all’anonimato: si racconta di colleghe illustri costrette a cambiare parrucca a ogni cena, manco fossero spie del Kgb, ma anche di set fotografici col viso schermato da due boccali di birra, o di apparire in tv seduto dietro una pianta enorme, e di farsi pixelare la faccia come accade solo a chi partecipa ai programmi di protezione testimoni.

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Una vita dura che ha avuto un senso fino a qualche tempo fa.

Fino a quando sono arrivati TripAdvisor, Yelp, Instagram e tutta la schiera di food-blog che hanno cambiato per sempre il nostro approccio alla ristorazione e alla critica (con la minuscola o la maiuscola), che lo si voglia o no.

l critico gastronomico Jonathan Gold mostra la faccia

Se mantenere davvero l’anonimato in condizioni iper-social come quella che oggi viviamo è cosa più che difficile del tutto impossibile, fare critica gastronomica (da quella spicciola a quella più di sostanza) è meno elitario di un tempo e in molti casi è alla portata di tutti, almeno di quelli dotati di una connessione internet.

adam platt, new york magazine

Però poi ci sarà chi dice che la democrazia è una bella cosa, ma non così bella se poi ne godono tutti-tutti. Ci sarà chi sputa veleno su Yelp e soci, chi ci vede il complotto, chi dice che “così son capaci tutti”.

Il fatto è che, tra il bianco immacolato del critico incappucciato e senza macchia e il nero pece dei recensori di TripAdvisor, in mezzo ci stanno 50 perverse sfumature di critica gastronomica, figlia dei nostri tempi.

C’è il giornalista spesato, quindi con una certa agiatezza di movimento nell’atto dell’ordinazione (in fase di estinzione, ovviamente), c’è quello che si paga la cena e se ne pente, c’è quello che si presenta con nome, cognome e un sorriso smagliante all’entrata e poi attende che si compia il rito dell’ospitata a carico dello chef di turno.

In effetti il mondo della critica gastronomica è in evoluzione, in uno stato di ricerca della propria identità e autorevolezza che si perde nelle sfumature di una ricevuta fiscale.

Valerio M Visintin

VALERIO M VISINTIN, IL CAVALIERE MASCHERATO DI CASA NOSTRA

In Italia, ad oggi, Valerio Massimo Visintin è l’unico di questi highlander rimasti in circolazione. È un libero professionista con il “vezzo” del passamontagna, paga di tasca propria tutte le volte che va fuori a cena, scrive senza essere servo dei poteri forti della gastronomia, il che a volte mi ha fatto pensare che sia “contro” i grandi nomi.

Insomma, una specie di Robin Hood della piccola ristorazione, che toglie agli stellatoni per distribuire agli umili.

In effetti, quando ci ho parlato, mi ha detto che da parte sua troppo spesso colleghi in gamba restano vittime dei grandi nomi della cucina e concedono loro tutto, mentre ai locali meno blasonati  sono più inclini a non lasciarne passare neanche mezza.

Una sorta di trattamento per ordine d’importanza, secondo Visintin, che per sancire la sua diversità morale poi si comporta esattamente all’opposto, bastonando i grandi.

Gli ho chiesto se, dopo tutti gli “smascheramenti” d’oltre oceano oggi non si sente un animale in estinzione.

Lui ride: al telefono sfoggia una marcata “r” moscia, é di una gentilezza rara e mi dice “certo che non sono in estinzione, visto che in Italia sono sempre stato l’unico! Non ci sono mai stati i critici gastronomici, a parte qualche esempio in passato.

Nessuno da noi, purtroppo, lo ha mai considerato un vero lavoro e per questo troppo spesso  è stato sottopagato ed è stato fatto con approssimazione. Per offrire al lettore il giudizio più verosimile, l’anonimato è fondamentale. È possibile, certo, scrivere una recensione, anche una buona recensione, a viso scoperto, ma prima o poi si cade nel riservare un trattamento privilegiato a chi ci tratta in modo elitario. È umano.”

Gli dico che molti critici americani hanno rinunciato alla maschera perché ormai l’anonimato era diventato solo un giochino delle parti: tutti conoscevano tutti. “No, per me non vale. Nessuno mi conosce, e questo perché tanti anni fa quando ho iniziato questo mestiere ho fatto rimuovere le pochissime mie fotografie dal Web.

Ovviamente chi conduce una iperattiva vita da social network non riesce a tenere segreta la propria faccia, ma per me è un altro discorso. Non conosco gli chef e non ho debiti di amicizia con loro, il che mi rende libero, o almeno più libero di altri, di scrivere quello che penso.”

(Poi lo invito a cena, e lui con grazia proverbiale mi regala un due di picche. Avrei tanto voluto vedere da vicino come ci si muove in anonimo in un ristorante, ma lui ha paura che la nostra uscita desti sospetto. O che io scriva delle cose che non si possono scrivere, tipo in che modo si paga il conto.)

Camilla Baresani

CAMILLA BARESANI: CRITICO ED ESPERTO SONO FIGURE DIVERSE

Tempo fa, la scrittrice Camilla Baresani aveva espresso le sue perplessità sulla figura del critico a viso coperto. E Visintin, sul sito Puntarella Rossa, non l’aveva presa benissimo.

Sono passati oltre due anni da quella scaramuccia a distanza di sicurezza, e oggi dopo Visintin ho chiamato anche Camilla, già reporter dai ristoranti per Il Sole24Ore, per vedere se almeno una delle posizioni si è ammorbidita, ha cambiato strada, si è attualizzata viste le tante cose successe nel frattempo.

Se Visintin resta fermo sulla sua rocca e punta il dito in particolare sui committenti che non pagano abbastanza, che non hanno capito tempo fa il ruolo del critico gastronomico per una testata giornalistica (gli americani invece ci hanno visto bene) e sulla necessità che i sedicenti esperti di oggi facciano un buon bagno di etica professionale, anche la Baresani torna all’attacco.

“Critico ed esperto sono due figure diverse. L’esperto, cioè lo studioso di una materia, non mira a criticare ma a spiegare, inquadrando il lavoro di un cuoco (o di uno scrittore, di un regista, ecc.) alla luce di quello che ha fatto ora e nel passato, e in rapporto a quello che fanno e hanno fatto altri cuochi.

Non può essere anonimo perché il suo lavoro implica che sia esperto, cioè che abbia parlato anche con i cuochi, e con loro abbia approfondito tecniche e motivazioni”.

Continua la Baresani: il critico invece esprime un punto di vista, anche partigiano, anche provocatorio. Vende (al lettore) il proprio gusto e disgusto personale, e la sua capacità di scrittura è – di fatto – più importante della sua preparazione: è fondamentale la sua presa sui lettori, che si ottiene soprattutto con uno stile molto espressivo.

È ovviamente importante che non sia corruttibile, cosa che per il lettore medio è difficile da interpretare (difficile che sappia cosa sta dietro certe scelte). Quando il critico è anonimo gli è più facile esprimersi liberamente, però non credo che chi si maschera sia più onesto di chi non lo fa.

Anche perché dopo un po’ l’anonimato cessa, alcuni lo conoscono e dunque hanno con lo pseudo anonimo un rapporto privilegiato che mette in posizione di ingiusto svantaggio chi non lo conosce”.

Insomma la libertà espressiva di un critico non deriva dall’anonimato ma dal suo carattere. È una questione di spina dorsale, non di baffi finti.

Invece, sulla capacità di scrittura come base di una buona recensione, i miei due intervistati di oggi trovano il loro punto in comune.

punto interrogativo

CHI SARA’ IL CRITICO DEL FUTURO?

C’è da ripensare al Gattopardo, a tutte le cose che cambiano ma poi restano sempre uguali. Perché chissà quante cose cambieranno domani, visto che ieri c’erano i critici incappucciati, oggi i blogger e poi?

Da che parte andiamo? Quante cose sono cambiate? Camilla Baresani mi “illumina” con questa risposta che lascio qui, alla fine di un post troppo lungo perché tutti tutti quelli che lo hanno iniziato siano anche arrivati fino alla fine.

“Cosa verrà? Gli esperti, i bravi critici, i vigliacchi che insultano nascosti dietro un nick name, gli inesperti di tutto che dicono la loro, i malevoli e i benevoli sono sempre esisti e continueranno a esistere.

L’offerta è varia e sta a noi consumatori imparare a distinguere chi ci offre valutazioni attendibili secondo le nostre attitudini, e chi invece è solo una voce troppo alta e inutile, oppure semplicemente inadatta a noi.

C’è solo più chiasso di un tempo, ma in realtà nulla è cambiato.”

[Crediti | Link: Dissapore, Los Angeles Time, Puntarella Rossa. Immagini: LATimes, NYMagazine]