Burbero e barbuto, chef bel tenebroso ante litteram, sguardo attento, modi energici, toni secchi e sentenze definitive. In tre parole intransigente, scostante e un po’ pedante. Così ci ricordavamo Carlo Cracco qualche anno fa, fino a quando il filtro televisivo non ce ne ha modificato la percezione.
La percezione appunto, perché così è ancora. Anche se pare aver trovato l’incredibile equilibrio necessario per modulare la sua attitudine seriosa alle scarpe sponsorizzate, alla conduzione televisiva, ai libri, alle copertine con le donne nude, al presenzialismo (stava pure al festival del giornalismo di Perugia!) agli show cooking, ai suoi insopportabili “Forzaaaa“, ai locali teoricamente low cost. E soprattutto alle patatine in busta, che ha trasformato in esperimenti gourmet, francamente rivedibili.
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Ma d’altronde “la cucina ha bisogno di audacia”.
Una cosa è certa: se lo intervisti non è mai avaro di dichiarazioni schiette e diversamente diplomatiche. L’ho scoperto in una lunga conversazione avuta con lui mesi fa per la cover-story che la rivista YouTech gli ha dedicato. Nessun equilibrismo, retropensiero o furbizia commerciale. Cracco ti dice quello che ti deve dire stando giusto attento a non darsi la zappa sui piedi su ciò che lo riguarda personalmente. Diretto, mica masochista, insomma.
Come dire che il Cracco Chef, padre, compagno, sex symbol, personaggio televisivo non si è licenziato da se stesso, come fa comodo pensare, e non ha abdicato a un sano tono polemico.
Il risultato è stata un’intervista dai toni più dissaporiani che da articolo di copertina sull’uomo e sul personaggio. Tanto che ho collezionato una lunga serie di affermazioni extra che non potevo lasciare a marcire nella cartella dei file audio.
Addentriamoci.
Quando sei te stesso in televisione e quanto reciti un personaggio?
«Ma no, non faccio mica il presentatore televisivo io. Faccio il cuoco! In TV mi comporto esattamente come farei nel ristorante. Se mi fanno girare i coglioni, li insulto e mi incazzo. Non è che devo fare la caricatura di me stesso o di un altro: faccio quello che mi viene».
Questa se la pubblicavo prima, forse, ci risparmiavamo la finale in diretta di Masterchef in cui al povero Cracco il presentatore un po’ gliel’ hanno fatto fare.
Ce l’hai sempre a morte con la cucina francese?
«La cucina domestica francese non esiste. Mangiano della gran pasta. Se sei in Italia, mangi bene ovunque, anche a casa dell’amico. C’è sempre qualcuno che sa far da mangiare. In Francia sono pochissimi quelli che sanno cucinare in casa. Ti riempiono di grassi e basta. Noi abbiamo sviluppato la cucina casalinga, abbiamo creato le osterie e le trattorie, loro hanno inventato l’alta cucina, perché si sentono i più bravi».
Un po’ come nel vino?
«Nel vino è diverso: trovi ancora vini da 8 euro buoni in Francia. In Italia ne trovi molti di più, ma anche da loro c’è ancora la cultura che il vino buono può costare poco. Nel cibo, no. Quando sono andato a mangiare a casa di amici era imbarazzante vedere il livello. E questo qui faceva pure il cuoco in un ristorante prestigioso!».
Insomma ce la passiamo meglio in Italia, tutto sommato?
«Se parli di tradizione e regionalità, ovvio! I francesi ci invidiamo, in silenzio ma ci invidiamo, perché noi abbiamo ancora i prodotti e i mercati veri. Dentro di loro pensano “gli italiani vivono come dei cani, fanno di tutto per massacrarsi, sono sempre al di sopra delle loro possibilità, fanno continuamente cagate, però non affondano mai. E’ questo che gli da fastidio!».
Perchè questa fissazione con l’uovo?
«Da qualche parte dovevo partire. Ferran Adrià si era già preso le alghe, il pesce e le cose più importanti. Mi sono trovato come quando sei in mare e cerchi di capire il vento, o quando corri, sei dietro e ti chiedi dove cazzo andare. Ho scelto l’uovo e ci ho lavorato, creando una moda. Alla fine è culo, ma ci vuole anche quello! Ma il grande messaggio è che la cucina non è di nessuno, ma di tutti; di chi la interpreta».
A proposito di ossessioni: come interpreti quella milanese per l’hamburger?
«A Milano tutte le merde attaccano e con l’hamburger hanno svoltato: costa poco, ti riempie e fa figo, anche se ci mettono dentro della merda. Poi se lo fanno con la carne buona mi sta bene ma alla fine è un panino: lo preferisco con la lingua, allora. O con la mortadella, che vale dieci hamburger per me. Ma poi durerà quanto? Un anno?».
E Bastianich. Ti irritano o no i suoi atteggiamenti, i piatti lanciati, le scene madri?
«Ma lui è un’altra cosa, non ha la formazione mia e di Barbieri; non puoi metterlo sullo stesso piano di due cuochi. A parte la sua cultura e provenienza che è completamente diversa, a lui piace proprio lanciare bicchiere e piatti: è il suo personaggio, ci sta. Io me ne frego e mi giro dall’altra parte. Non mi fa nemmeno ridere».
E Rachida? Era come la vedevamo?
«Recita molto bene e potrebbe avere successo al cinema. Se ci fosse una Hollywood in Africa lei sarebbe la regina. Fa tutto naturalmente, senza fare fatica. Però allo stesso tempo è così davvero; anzi a volte si tiene, perchè sarebbe perfino molto peggio».
Ma il titolista dei tuoi libri che problemi ha? Sto benedetto scalogno? Volevate far ridere?
«Ma si, dai! Altrimenti che due coglioni! Lo scalogno è venuto fuori durante la registrazione del libro. Io le ricette non le scrivo, le racconto e mi registro. Nel risotto, che è stata la ricetta pilota del primo libro, quando l’ho “raccontata”, mi hanno detto “Ma se io non mangio la cipolla?” e ho risposto “beh, se vuoi fare il figo usi lo scalogno” e mi sono immaginato con davanti una bella ragazza che volevo conquistare con il risotto. Sai alle donne la cipolla non piace.
Quando è diventato il titolo del libro mi sembrava un po’ eccessivo, ma poi scalogno è diventato di moda, tanto che ora c’è anche all’Esselunga».
E qui scopro che alle donne non piace la cipolla
E Carlo e Camilla in segheria?
«Il nome lo sbagliano tutti! Hanno scritto “La segheria di Carlo e Camilla”. Ma che cazzo vuol dire! Non avevamo un’idea, ma avendo recuperato un’antica segheria abbiamo voluto mantenere il nome del luogo. Ci abbiamo messo davanti “Carlo e Camilla” per dare un taglio ironico e molto popolare: suona bene.
Sono i principi reali, che fanno ridere [non ho capito perché fanno ridere! nda], c’è la corona reale con l’uovo, che è il mio simbolo. Non è autoriferito, ma il contrario: due principi che vanno in segheria, che è solamente un modo per far ridere la gente».
[Crediti | Link: YouTech, Dissapore, Festival del Giornalismo. Immagine: antonellastellab]