L’invenzione del torrone è contesa tra Spagna, Francia e Italia, ma solo da noi il dolce che sottintende il Natale vanta un universo parallelo di interpretazioni, segno indelebile della nostra tradizione regionale. La lista è lunga, i torroni siciliani, i molti campani specie in provincia di Benevento, quello sardo fatto con solo miele di eucalipto, corbezzoli e noci, per arrivare al piemontese, inizialmente un alter ego del richiestissimo torrone di Cremona, con le nocciole al posto delle mandorle.
Per farvi vedere come si fa il torrone siamo alla D.Barbero di Asti, che dal 1883 produce con la stessa ricetta e lavorazione cioccolato e splendidi torroni artigianali, come documenta il bel museo di macchinari d’epoca (qui sopra una mola).
Il torrone d’Asti, esclusivamente di tipo friabile, si fa con tante nocciole IGP Piemonte (arrivano al 51% del totale) e miele millefiori proveniente dagli allevamenti della zone preapenninica, con alta percentuale di miele di acacia.
Si parte inserendo gli ingredienti nelle torroniere, prima il miele, poi zucchero, una piccola quantità di glucosio, albume fresco d’uovo, infine vaniglia naturale. Questo impasto dà vita al “bianco” del torrone, che rappresenta il 49% del totale.
L’impasto viene cotto in torroniere in rame qui costruite negli anni ’60, che riscaldano gli ingredienti attraverso un bagno di vapore nell’intercapedine. E’ un procedimento lento che richiede almeno 7 ore ma permette di non bruciare gli aromi preservandone il sapore.
Nel frattempo vengono sbucciate e selezionate le nocciole, una a una per controllare la qualità, e in seguito vengono tostate nei tostini, anche questi costruiti intorno al 1960 direttamente nel laboratorio di produzione.
Una volta cotto l’impasto al punto giusto, arriva il momento delle Nocciole IGP Piemonte che rappresentano il restante 51% della ricetta tradizionale. Invece il torrone morbido si ottiene cuocendo l’impasto meno a lungo. E’ questa la vera differenza rispetto a quello duro o friabile, ecco perché può essere fatto con relativa facilità anche dai pasticceri.
In altri laboratori si usano torroniere che riescono a cuocere in tempi più brevi perché nell’impasto, in luogo del tradizionale albume, si usa gelatina alimentare.
La gelatina è prodotto meno pregiato e dunque più economico, anche se, come abbiamo visto, consente cotture rapide e la possibilità di ottenere torroni che si conservano meglio all’aperto, pensate a quelli sulle bancarelle delle fiere. Non a caso l’albume è un alimento igroscopico, ovvero assorbe acqua e dunque umidità, al punto che il torrone, se non conservato correttamente, può anche sciogliersi.
Il torrone cotto, estratto con una pala dalle torroniere, viene lavorato interamente a mano poiché solo la pressione manuale consente di lasciare all’interno delle piccole bolle d’aria, indispensabili per ottenere la classica struttura del torrone astigiano, friabile, non duro.
L’impasto finisce su un tavolo di marmo per esser spolverato con amido di mais affinché non si attacchi, poi viene inserito negli appositi stampi di faggio. Perché di faggio? Perché il legno è un isolante naturale, ideale per il torrone friabile che deve raffreddarsi lentamente per poi essere tagliato e lavorato alla temperatura giusta.
Viene sistemata la caratteristica ostia che non fa aderire l’impasto ai bordi dei cassettoni. Raffreddato alla temperatura corretta, il torrone viene tagliato nei formati adatti alla vendita, come le torronfette, prodotto di punta di D.Barbero.
Ma quali sono i trucchi per riconoscere un buon torrone?
1. Verificare la quantità di frutta secca (nocciole, mandorle, pistacchi) che dev’essere il primo ingrediente della lista. Più elevata è la quantità, maggiore è la qualità del torrone.
2. Verificare che il secondo ingrediente indicato in etichetta sia il miele e non lo zucchero.
3. Nel torrone piemontese l’albume è preferibile alla gelatina alimentare.
Come abbiamo visto, il torrone classico d’Asti è fatto con nocciole, miele millefiori e alte percentuali di acacia, ma esiste una linea grand cru in cui si usano pistacchi e mandorle con particolari mieli monorigine. Il massimo è il grand cru alla Nocciola: miele di acaia della zona di Masio (AL) unito a nocciole di Mombercelli (AT) qui al 55% del totale, limite oltre il quale le pale delle torroniere si romperebbero.
Infine un’indiscrezione: anche Grom è tornato a comprare qui il torrone per i suoi gelati. La celebre catena di gelaterie partita da Torino e ormai diffusa in buona parte del mondo ha richiesto una produzione personalizzata fatta con il miele di Sulla, senza aggiunta di glucosio.
Barbero Davide – cioccolateria e torroneria
Via Brofferio 84
Asti