Non si giudica un libro dalla copertina. Anche perché, nel caso dell’olio, non si capirebbe un bel niente. Problema di comunicazione, quello di chi produce con noi che consumiamo. Problema di pigrizia, quello contrario.
Partiamo subito in quarta, ma non accusiamo nessuno: questo è un cane che si morde la coda. Ci sono dei rimedi: individua il problema e trova la soluzione.
Da uno studio americano è emerso che:
— solo un consumatore su quattro sa riconoscere che tipo di olio sta utilizzando (puro, extravergine, raffinato,…).
— L’80 per cento pensa che il sapore sia fondamentale per la scelta, ma ricerche precedenti hanno dimostrato che gli oli più diffusi sono i meno saporiti se non proprio irranciditi.
— La maggior parte dei consumatori pensa che l’olio venga comunicato male e che attributi come “erboso”, “pepato”, “fruttato” non lo rendano più appetibile. Anzi, confondano. Come confonde il termine “raffinato”, appunto, alla quale viene attribuita un’accezione positiva: elegante, di classe (contro il suo reale significato: un olio inodore, incolore e insapore che unito a una piccola percentuale di extra vergine diventa olio di oliva).
L’esperta Orietta Gianjorio ha stilato una lista di 5 consigli per scegliere un prodotto di buona qualità. Interessanti anche se contestabili sotto certi punti di vista. Per capire meglio li abbiamo confrontati con l’opinione di un grande produttore d’olio nostrano, Lorenzo Piccione di Pianogrillo. Ecco il risultato:
1) Orietta Gianjorio: in generale, controllare la dicitura “extravergine” sulle confezioni. Banale, noi lo facciamo (quasi) sempre, gli americani no. Ma melius abundare…
2) Orietta Gianjorio: controllare la provenienza dell’olio. Spesso, infatti, è riportato il luogo in cui l’olio è stato confezionato, per mescolare le carte e disorientare il consumatore. La fregatura è che, probabilmente, l’olio proviene da tutt’altro Paese e ha dovuto viaggiare molto per arrivare nel luogo dell’imbottigliamento.
Risultato: più lungo è il tempo trascorso tra raccolta, spremitura e imbottigliamento, più probabilità ha l’olio di degradare.
3) Orietta Gianjorio: cercare sull’etichetta la data di raccolta e di spremitura delle olive: al contrario del vino, l’olio non deve invecchiare. Due anni è il periodo massimo, se tenuto in ottime condizioni, in un armadietto buio e a temperatura ambiente.
Lorenzo Piccione: in Italia, per legge, la data di scadenza dell’olio viene posta a 18 mesi, ma… dall’imbottigliamento! Facciamo un’ipotesi: trovate un’anfora etrusca nel vostro giardino e vi accorgete che è ancora piena d’olio d’oliva. Decidete di imbottigliarlo. Non solo potete farlo, ma la data di scadenza del vostro prezioso amico partirebbe proprio da quel momento! Singolare, no?
Se invece sul vostro olio compare la dicitura “Campagna Olearia (+ l’anno corrente)”, potete tirare un sospiro di sollievo: quantomeno il prodotto è “fresco”, ovvero è stato spremuto e imbottigliato nello stesso anno.
4) Orietta Gianjorio: controllare che il prodotto abbia ottenuto certificazioni. Ma non utilizzarle come unico metro di giudizio.
Lorenzo Piccione: Questo potrebbe essere un buon consiglio, dal momento che oggi in Italia c’è la corsa alla certificazione, anche di prodotti non proprio di qualità. Le certificazioni possono essere definite il cavallo di Troia della Grande Distribuzione, ciò su cui puntare per attrarre clientela. Lo specchietto per le allodole. Tanto vale diffidarne, allora.
5) Orietta Gianjorio: annusare e assaggiare il prodotto.
Lorenzo Piccione: escludendo che questo si possa fare nel momento dell’acquisto (a meno che non vi troviate a casa di un produttore), mi sembra forse il consiglio più intelligente. Anche se nell’olio ciò che ci piace è ciò che è buono, senza mezzi termini, giri di parole o noiose spiegazioni tecniche su ciò che è buono per gli esperti.
[Crediti | Link: UCDavis, HuffingtonPost]