La moda hipster è morta, finita, game over. Prima di festeggiare, però, è bene sappiate cosa viene dopo: è il turno dello Yuccie. Questa non era nemmeno la notizia peggiore. Siete seduti?
Gli Yuccie siete proprio voi: gli Young Urban Creatives, i Giovani Creativi Urbani, ovvero come spiega il Sole 24 Ore
giovani con l’ambizione di mettersi in proprio e pur di dare spazio alla propria creatività disposti a rinunciare a certezze di tipo retributivo tipico dei lavori meno creativi (…), un fenomeno generazionale americano (…) che si sta diffondendo anche a Milano nella zona di Paolo Sarpi e nei quartieri Isola e Lambrate
Per inciso, scoprire di essere uno Yuccie mi ha dato il perverso sollievo di quando non ti senti bene da tempo e i medici insistono a dire che non hai niente e poi finalmente ti diagnosticano qualcosa di potenzialmente fatale e tu pensi: AH! AVEVO RAGIONE IO.
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E cosa facciamo noi Yuccie quando non siamo a supplicare i nostri genitori di darci dei soldi per consentirci di inseguire i nostri sogni di creativi malpagati? Andiamo al bar. Sporadicamente, in genere in coincidenza con il pagamento di una fattura, beviamo una birretta. Altrimenti facciamo colazione.
Ma non ci perdiamo mai d’animo perché quantomeno andiamo in dei bar bellissimi: per esempio questi tre, aperti a Milano da pochi mesi.
1. OTTO, Via Paolo Sarpi 10
Se c’è una cosa che noi yuccie facciamo benissimo è prenderci in giro da soli (noi però lo chiamiamo self-deprecating humor) e Otto, recente apertura in via Paolo Sarpi a Milano, non fa eccezione: “Avevamo voglia di un posto bello a Milano. L’abbiamo aperto in Sarpi 10 (poi però abbiamo sbagliato civico)”.
Prima di tutto, come trovarlo: Otto sta nel grande cortile che si apre sulla destra lungo via Paolo Sarpi dopo il civico 6. Tanto per darvi l’idea di quanto rapidamente il quartiere stia cambiando, immediatamente più avanti c’è un ristorante cinese che una volta stava aperto tutta la notte, se andavi lì all’una trovavi tutto lo staff che dormiva con la faccia sul tavolo, ma si rianimava in un momento.
Otto ha l’ampio spazio e i mobili scompagnati che fanno subito Berlino (capitale semi-ufficiale degli yuccie) (adesso smetto di dire yuccie). Entrando, dirigetevi al bancone per ordinare del nutrimento per il vostro insaziabile cervello creativo: io ho mangiato un plumcake molto morbido (3€) e ho bevuto un buon caffè.
Accomodatevi poi in una delle sedute nella grande sala principale, con il suo imprescindibile giardino verticale di piante aromatiche.
Le persone intorno a voi lavorano alacremente ai loro portatili oppure si documentano grazie all’ampia selezione di giornali e riviste disponibili per la lettura – Otto sa bene che senza ricerca non c’è creatività e si dedica a nutrire anche la vostra mente.
A pranzo, scegliete tra i quadrotti (noi però li chiamiamo smorrebrod) dai 4€ ai 7€, o il piccolo menu a 10€ con quadrotto del giorno + insalatina +piccolo dolce + caffè.
Il posto è bello e si sta davvero bene. Nel weekend la gestione può essere un po’ caotica – talvolta piatti e bicchieri restano sui tavoli un po’ troppo a lungo, e l’attesa al banco può prolungarsi più a lungo di quanto sarebbe lecito.
Ma se questo vi rende nevrotici allora mi chiedo: tanto valeva lasciare il vostro lavoro di bancario per tentare la carriera di illustratore di libri per bambini, no?
2. CAFE’ GORILLE, Via G. De Castillia 20
Nemmeno se l’avessi costruito io mattone per mattone potrei essere più fiera del nuovo quartiere Isola: c’è il Bosco Verticale (giudicato il grattacielo più bello del mondo), la Casa della Memoria che ricorda in modo commovente partigiani, deportati di guerra e vittime del terrorismo, e la nascitura Biblioteca degli Alberi, che occuperà lo spazio dove adesso c’è l’installazione temporanea Wheatfield di Agnes Denes (sembra un campo di grano ma mi hanno garantito che è un’installazione artistica).
Da un paio di mesi non devo nemmeno più ammirare queste meraviglie a digiuno: ha infatti aperto il Cafè Gorille, minimal eppure caldo grazie a un’accoglienza sempre sorridente. Io ci vengo a colazione per bere un cappuccino e mangiare un pain au chocolat ancora tiepido, ma in realtà ogni momento della giornata è buono.
La cucina è sempre aperta – purtroppo ancora una rarità a Milano, dove gli orari di pranzo e cena sono altrettanto flessibili di quelli in ospedale – e offre una selezione che ruota sempre di piatti semplici e ben concepiti, come Galletto alla Birra su zucchina grigliata o un’Insalata di Polipo per 12 ragionevolissimi €.
Nel brunch della domenica ci sono pure le lumache trifolate: Vostro Onore, non ho niente da aggiungere.
Visto che i miei amici rifiutano di ascoltare i miei consigli non richiesti e per coltivare questo mio hobby mi resta solo la mia produzione giornalistica, segnalo che la selezione di distillati è perfettibile.
3. BAR LUCE, Largo Isarco, 2
La nuova sede di Milano della Fondazione Prada (spiega il sito ufficiale) “progettata dallo studio di architettura OMA, guidato da Rem Koolhaas, espande il repertorio delle tipologie spaziali in cui l’arte può essere esposta e condivisa con il pubblico.
Caratterizzata da un’articolata configurazione architettonica che combina edifici preesistenti e tre nuove costruzioni (Podium, Cinema e Torre), è il risultato della trasformazione di una distilleria risalente agli anni dieci del Novecento.”
OK.
Questa nuova Fondazione Prada è un luogo incredibile, quasi nel senso più strettamente letterale del termine: un paesaggio onirico di lunghi viali, alberi sparuti, vetrate che lasciano intravedere busti in pietra di una delle mostre.
Ciò detto, essa – a parte questa faccenda dell’arte, francamente secondaria – all’interno della Fondazione Prada c’è il Bar Luce, disegnato da Wes Anderson. Il locale è bello, fedele all’estetica allo stesso tempo ordinata e pacchiana che è anche dei film del regista americano: le linee dritte, le simmetrie, i colori pastello.
Il krapfen è molto buono, e i prezzi della colazione sono ragionevolissimi: un caffè e una brioche – serviti al tavolo – costano un democratico paio di €. Perdipiù c’è il flipper delle Avventure Acquatiche di Steve Zissou (“Negli ultimi dieci anni ho avuto un momento di appannamento”, cit.).
Super bonus: seduti ai tavolini all’esterno ammirare abbacinati il palazzo antistante, interamente ricoperto di foglia d’oro (fondamentale indossare occhiali da saldatore come per le eclissi solari).
Lati negativi: pochi, ma: cappuccino brodolone, ahimè. Ma soprattutto: niente Courtesan al Chocolat, la torre di bignè alla crema di Grand Budapest Hotel.