Ristabiliamo gli ordini. La grande mela non è da imitare a prescindere, a volte gli americani sono capaci di produrre serie tv belle da far piangere, ma sono altrettanto in grado di partorire mode che sembrano mostri senza testa. Per capirci, non è che se a New York da qualche tempo camminare con una tazza di brodo bollente è diventato chic ora dobbiamo sperare che arrivi in Italia.
Anzi, a dirla tutta, spero che non ci arrivi mai questa mania delle “ossa liquide da passeggio”, già mappata dallo scicchissimo blog americano Eater. Ve li vedete voi i milanesi, i romani o i napoletani che corrono forsennati verso i loro uffici la mattina soffiare su un bicchiere take away di brodino di ossa di pollo?
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In realtà il rischio di colonizzazione antropologico-gastronomica è molto vicino, troppo vicino, visto che lo chef stellato Andrea Berton ha già declinato in 8 modi diversi il brodo nel suo menu degustazione. Per non parlare del brodo d’oro di Massimiliano Alajmo, tre stelle Michelin a Le Calandre, e di un certo interesse per i brodi di Paolo Lopriore, chef del giorno per altre, tristi, motivazioni.
Il fatto è che troppo spesso ci beviamo (in senso lato, ma anche letterale) tutta l’acqua sporca degli americani che pare oro liquido. Il nostro atavico senso di inferiorità rispetto a tutto quello che è “estero” o “esotico”, in molti casi, è innegabile. Solo che questa nuova moda del brodo da passeggio non la posso proprio soffrire.
Accade, manco a dirlo, in una strada dell’East Village, dove ha aperto i battenti Brodo, un posticino senza apparenti pretese che si è trasformato nella mecca del nuovo salutismo newyorkese. Qui si può scegliere il formato, ma anche la tipologia: c’è il bordino di pollo biologico, quello misto di pollo, tacchino e manzo, oppure quello preziosissimo di manzo arricchito con ginger.
Attenzione, miscredenti: non si tratta di un brodo poverello come quello raffazzonato con qualche osso elemosinato dal macellaio, come faceva la nonna. No, qui si tratta di un brodone all’ennesima potenza, con tante ossa e tanta cartilagine che (gli americani insegnano, perché da soli non ce la faremmo) fa bene, fa benissimo al nostro fisico.
Intanto proliferano libri in cui alimentaristi pontificano sulle doti miracolose del brodo, recensioni estatiche sul locale (che vende una tazza da 16 once a 9 dollari), racconti mirabolanti su Marco Canora, lo chef italo americano del Ristorante Hearth (di cui Brodo è il fratello minore) che cavalca l’onda della nuova tendenza e si bulla di aver cucinato per la famiglia Clinton.
Funziona così: intorno al brodo si sono catalizzate le attenzioni a tratti maniacali di nutrizionisti new age leggermente fuori tempo, estremisti in stile paleo-dieta, desperate housewifes in cerca di una pelle perfetta, amanti della tradizione culinaria italiana (gli americani poi trasformano e personalizzano tutto, ma intanto sono lì a pendere dalle nostre labbra).
Il tutto, naturalmente, esasperato come è tipico degli americani, che da un dito si prendono il braccio. (Se non avete capito a cosa mi riferisco, una volta vi racconto di quando sono andata a Roswell e non c’era altro che una via con negozi pieni di gadget alieni: una città senza nulla che vive di nulla.)
Concludendo, chef Canora dichiara di arrostire le ossa e poi metterle a bollire per oltre 24 ore, che secondo i teorici della Paleo dieta questo processo di lenta e prolungata cottura riesce letteralmente a sfaldare le ossa e a catturare tutti i nutrienti e i minerali e a diventare molto digeribile.
Se in Italia ancora siamo in ritardo sui VIP di Hollywood crudisti, o non prendiamo ancora seriamente le iniezioni di vitamine, qui siamo ben oltre. Un italiano a New York ha riscoperto l’acqua calda (mai detto più appropriato), l’ha infarcita di filosofia organic-bio-gluten free e ora se la fa pagare profumatamente. Intendiamoci: non ho assaggiato il brodo di Brodo, ma non è tra le mie curiosità gastronomiche prioritarie.
La mia non è una presa di posizione anacronistica contro tutto quello che è americano o nuovo. Figuriamoci, appartengo a quella categoria che trova l’hamburger più che interessante, anche dopo che tutti hanno iniziato a dire che non se ne può più.
Ma la questione del brodo americano è ben diversa, perché riesce a racchiudere una serie di improponibili manie oltreoceaniche che trovo (e trovavo in tempi non sospetti) poco digeribili. Al trend pro-brodo da passeggio nella metropoli, oppongo 3 “no”.
1. No, il brodo da passeggio è una bestemmia!
A me il brodo piace anche, ma sono una tradizionalista in queste cose, e ciò significa avere un cucchiaio, un tavolo, magari anche qualcosa che ci galleggi all’interno. Un bicchiere di brodo da bere mi risulterebbe una cosa quasi contronatura.
2. No, il brodo non fa figo!
Insomma: me lo dava mia nonna quando ero malata, e se non fosse per i tortellini lo si assocerebbe a una serata di noia e solitudine con pastina e tv. Nemmeno i newyorkesi potranno convincermi di una sua patina glamour. Giammai.
3. No, il bicchiere di brodo fumante non avrà la fortuna cinematografica e immaginifica del beverone di caffè in stile starbucks
Immaginate la scena di un film d’azione in cui i protagonisti, appostati da ore per un pedinamento, si tendgono svegli con un bel bicchierone di brodo di pollo. Ho detto tutto.
Ora ditemi: siete con me o verreste irrimediabilmente presi al lazzo americano?
[Crediti | Link: New York Times, Eater, Repubblica, Identità Golose, Gambero Rosso, immagini: New York Post, New York Times]