Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta in Italia si è compiuta la rivoluzione consumistica: carne e zuppe in scatola, sugo pronto e brodo di dado. Scordatevi però Michele La Ginestra che vi prepara la pasta (De Cecco) e il coinquilino palestrato che vi pulisce la doccia con Viakal: quel mondo era ancora fatto di massaie felici pronte a partecipare al concorso sulle creme di verdura e a passare ore al telefono mangiando caramelle.
[related_posts]
Abituati come siamo a chef star che ci propinano una cucina maschio-centrica (se non addirittura maschilista) queste donnine ammiccanti col vestito della festa non sembrano nemmeno più un insulto al femminismo. Sono semplicemente fiabesche.
Questi ed altri manifesti, insieme con 28 foto d’epoca, sono in mostra a Parma dal 12 aprile al 15 giugno in “Il cibo immaginario. Pubblicità e immagini dell’italia a tavola“.
1. Repetita iuvant
Nel 1963 àlgida (con l’accento sulla prima “a”) ci teneva a sottolineare quanto il suo cornetto fosse “irrrresistibile”. Che dire? Siamo abbastanza d’accordo nonostante il registro in stile Whatsapp del pubblicitario che ha pensato il manifesto qui sopra.
2. Quando avevamo tempo di leggere.
Design un po’ casinista per questa Cirio ancora lontana dal crack. Se si passa oltre la sottile allusione sessuale dell’anziano signore di fronte alla solita performante massaia in abito da festa, si può leggere che alla prima estratta tra tutte coloro (il femminile apparentemente era d’obbligo) che hanno segnalato la zuppa preferita sarebbe andato un premio di 5 milioni di lire. Alla faccia del marketing strategico.
3. Dell’estrema sintesi.
Siamo tutti consapevoli che il grafico che nel 1961 realizzò questo manifesto non aveva mai preparato gli spaghetti all’olio.
4. La crocerossina bugiarda.
Maria Felice, di nome e di fatto, amava vestirsi da crocerossina mentre condiva la pasta con il sugo pronto, fingendo di aver lavorato con una bacinella intera di verdure fresche. E’ sicuramente l’antesignana di tutte quelle che comprano la pasta sfoglia, il ragù, le lasagne e gli gnocchi e li spacciano per fatti in casa.
5. In attesa del boom economico.
Arrigoni agli inizi degli anni ’50, con un’onestà ingenua agli occhi di noi consumatori navigati, dichiarava apertamente i pregi del suo brodo di dado: non è buono come lo sai fare tu (leggi dado Star), ma rende molto e costa poco.
6. Perché questa idea è passata di moda?
Aequator: la cucina economica con lo specchio per tenere sott’occhio quel che succede nel forno mentre mescoli il sugo. Un’idea quasi commovente. E proprio vero che i migliori se ne vanno presto.
7. Le analogie ardite.
Oggi status symbol di architetti con la mania del vintage, il telefono nero con la griglia girevole per comporre i numeri è un ricordo della mia infanzia (noi ce l’avevamo grigio). In effetti erano tempi in cui una telefonata poteva essere tanto lunga quanto la degustazione di un intero pacchetto di caramelle. Solo una domanda: ma “il buco con la menta intorno” dunque non era la prima caramella col buco?
8. La massaia Betty Boop.
Paradossalmente contemporanea, questa pubblicità del 1955 con una massaia ammiccante che tira la sfoglia tenendola sopra e non sotto il mattarello, mentre incurante il figliolo razzola con le galline. Che la “casalinghitudine” orgogliosamente sbadata e coi tacchi a spillo di una certa Benedetta avesse dei precedenti?
9. Alla faccia della rivoluzione sessuale.
Nel 1966 Coca Cola esce in Italia con questo manifesto. Chissà a cosa si riferisce quel “tutto”…
10. Il gusto esotico della pentola a pressione.
Di Cokita e Mokita avevamo perso le tracce, tuttavia era così, puntando sul fascino dei nomi esotici, che alle italiane del 1958 si presentava la prima di molte pentole a pressione che verranno. Per la caffettiera si puntava allora, come si fa oggi con le macchine a capsule o a cialde, sul caffè casalingo buono come quello dei migliori bar.
11. W i conservanti.
Che la maionese in tubetto sia migliore di quella fatta in casa è un’idea che non funzionerebbe mai, in questi giorni intrisi di “gastrosofia”. Ma la signorina che prepara la tartina con una gonna a tubino e una camicetta di seta (e sta per scalare le montagne), mi fa pensare che se con la maionese in tubetto si diventa così chic me la devo comprare anche io.
12. Tutto in una volta.
In pochi centimetri quadrati di manifesto, la Montana del 1966 riuscì ad infilare: il testimonial famoso, lo slogan, i consigli di cottura e gli ingredienti di ben tre prodotti. Abbiamo ancora tanto da imparare.
[Foto crediti: il Post]