“Non voglio più lottare contro le multinazionali, voglio convincerle a diventare buone, pulite e giuste”. Se è bene abbandonare la renitenza a entrare nel club di quelli che credono alla fine del mondo –la cosiddetta apocalisse Maya– è sicuramente per questa frase, per chi l’ha pronunciata: Oscar Farinetti, ovvero, mr.Eataly e per chi ne era l’oggetto, Birra Peroni – sì, avete capito bene, quella Peroni.
Cosa dicesse il cervello a Farinetti quando ha inserito la frase in un comunicato stampa che rendeva pubblico l’accordo con il noto marchio di birra non è dato saperlo, se fosse un po’ bevuto, vista la birra, nemmeno. Sta di fatto che subito dopo ha aggiunto: “Sono favorevole a esportare le eccellenze italiane nel mondo e, in questo senso, sono contrario al cosiddetto km zero”.
Come risultato immediato dell’accordo, i marchi Peroni si troveranno in tutti gli Eataly di Italia, mentre all’estero la birra italiana sarà rappresentata da (sic!) Nastro Azzurro. Non è la prima volta che Eataly inserisce nella sua offerta marchi italiani rispettabili, anche se non precisamente in linea con gli slogan dei suoi supermercati gourmet, primo tra tutti: “Gestire il limite, piccole quantità, grande qualità, prezzo sostenibile“. Do you remember Oscar?
Alla firma dell’accordo era presente anche Gianfranco Polillo, sottosegretario dell’economia, che ha definito l’iniziativa “la punta di diamante su cui ricostruire il sistema e rilanciare l’immagine del nostro paese all’estero: da un lato, un grande produttore che ha fatto la storia del Paese a partire da prima dell’Unità d’Italia, dall’altro un’idea moderna di essere italiani”. Un grande produttore che ha fatto la storia del paese: possiamo negare che sia così?
L’azienda birraia è nata nel 1846: da allora, generazioni di italiani hanno riempito i frigoriferi con cartoni di Peroni e guardato con occhio sbarrato le ammiccanti testimonial della bionda italiana per eccellenza. Si potrebbe discutere di corpo inesistente, sapori massificati e il dio della birra solo sa quante altre facezie, ma sarei pronta a scommettere che ognuno di noi, almeno una volta, si è scolato una Peroni ghiacciata. Non di sole Brew Dog vive l’uomo: la Peroni costa poco, è beverina (avevo promesso di non dirlo più), si sposa educatamente con la pizza.
Certo, da lì a vederla in vendita nel tempio del cibo perfetto, che ci salva tutti, ci rende più sani, scattanti, intelligenti, rarefatti ce ne corre. A voler fare i precisini, poi, si potrebbe far notare che il controllo della Peroni da dieci anni appartiene alla SabMiller, multinazionale sudafricana presente in 60 paesi del mondo con un fatturato di 18 miliardi di dollari — non proprio il trionfo dell’italianità o l’epitome dell’artigianalità, insomma.
Ma vogliamo esserlo noi, precisi? Cosa dite, chiudiamo un occhio e alla prossima da Eataly fingiamo di ignorare i Peroncini sugli scaffali (per poi inserirne di soppiatto alcuni nel carrello)? O decidiamo che no, grazie, le multinazionali non diventano buone pulite e giuste, e se andiamo avanti così, una Peroni oggi una Peroni domani, l’idea di Eataly come volta celeste del Made in Italy si fa quantomeno rivedibile?
[Crediti | Link: Scatti di Gusto, Peroni. Immagine: Scatti di gusto]