Sono i nuovi James Bond, eleganti nella loro uniforme da cucina e mai con un capello fuoriposto, nemmeno dopo il turno della cena. Gli chef griffati Michelin, con la loro aura di beatificazione, che ci piaccia o ci si rosichi, sono le figure più ammirate e mediaticamente vincenti dei nuovi anni ’10.
Oltre alle stelle brillanti dei vari Cracco, Romito e Bottura, esiste una schiera meno conosciuta di chef altrettanto corteggiati dalla stampa, dalle fans col matterello e dal variopinto mondo dei gastrofanatici, che organizzano tour per spuntare sulla Guida Rossa i “ce l’ho, manca”.
Non c’è dubbio: anche loro, che non lo direste mai ma sono umani, hanno un bel carico di privilegi, ma anche di sfighe.
I PRIVILEGI
1. Esenzione da frutta e verdura di stagione
Se nelle cucine delle osterie è bandita la melanzana a dicembre, in virtù della legge imperante della stagionalità, per loro questa regola non vale.
Loro hanno l’estro, un estro che per essere espresso appieno non può rispondere a logiche matematiche come quelle delle stagioni.
Loro possono.
Loro sono ben oltre i broccoli in inverno, quindi nei loro menu il ravanello c’è sempre, così come il tartufo.
2. Chilometro zero e roba dall’altro mondo
I ristoranti sotto casa si fanno il mazzo alla ricerca di fornitori local, di prodotti del territorio e di piatti rigorosamente a chilometro zero.
Anche gli stellati hanno il vincolo delle “eccellenze del territorio” (che in alcune zone è più uno slogan che una sicurezza di qualità), ma poi hanno anche i super prodotti, quelli che arrivano da lontanissimo, ma per loro la questione del cibo sostenibile non vale come per noi.
Da loro trovi il Patanegra spagnolo, il thè Matcha giapponese, il pollo di Bresse, il wagyu. E ci sarebbe da andare avanti una settimana.
3. Dare strani nomi ai piatti
Provateci voi a fare gli spiritosi col menu in trattoria. Oppure immaginate di ostentare tutto il vostro ego sulla lavagnetta del piatto del giorno. Otterrete facce basite di clienti intenti a cambiare ristorante.
Gli stellati, invece, si concedono il lusso di rinominare i piatti secondo fissazioni personali o in nome del minimalismo.
Esiste un “Volete Che Faccia Lo Chef? Crudi E Cotto” di Ciccio Sultano, o un “colori crudi” di Enrico Crippa.
Oppure, per i minimalisti che non ti dicono nemmeno come hanno cotto il piatto (mica vogliono rovinarvi la sorpresa) c’è sempre un “agnello aglio e pompelmo rosa” di Niko Romito (che non mette nemmeno la virgola, per non svelare il minimo indizio).
LE SFIGHE
1. Gestire il tavolo in cucina
Per gli cheffoni tanta invidia, ma anche un po’ di tenerezza se mi capita di pensare a loro come dentro un acquario, intenti a cucinare, dare ordini e far andare le mani (nei limiti consentiti) e lì, ad un metro, una schiera di adoranti commensali che non si perdono una sola mossa.
Pensate se sul vostro posto di lavoro ci fosse sempre una comitiva delle medie in gita intenta ad osservare i vostri movimenti, passo dopo passo.
Neanche la libertà di dire una parolaccia perché questi stanno lì zitti a fissarti. Non è bello.
2. Gli amici dello chef e l’invito a cena
Provate a pensare al supplizio che deve essere per uno chef pluristellato andare fuori a cena.
Una volta visitati i suoi colleghi VIP, dove comunque sta seduto sul bordo della sedia a metà strada tra lo spionaggio e la critica silente, dove mangia uno chef?
E se poi va dal kebabbaro e Dagospia lo immortala intento a mangiare punk-food? Sò problemi.
3. La sindrome “maestro di sci”
Colpisce tutti i professionisti che lavorano con una qualche uniforme particolare. Come il maestro di sci è un sex symbol che in inverno fa strage di cuori tra il pubblico femminile che ne apprezza l’abbronzatura, il fisico atletico e la prestanza, in estate (o comunque fuori contesto) il suddetto perde il 99% del suo fascino.
Provate a immaginare questi bei ragazzoni degli chef in bermuda e canottiera, senza le loro giacche immacolate.
Pensateli intenti a portare il cane al guinzaglio e non nell’atto simil-erotico di far saltare un’omelette o tagliare verdure alla velocità della luce.
Che effetto fa?
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