Non sono nomi familiari. . . per il momento. Ma questi 5 giovani chef italiani –tra di loro un ex azzurro di sci, il nuovo Paolo Lopriore, una vegetariana esperta di comunicazione, l’allievo promettente di Antonino Cannavacciuolo e un indomito spezzacuori– sono destinati a fare grandi cose nel 2015. O almeno, così crediamo noi di Dissapore.
E allora senza perdere tempo, come già fatto per il 2014, conosciamo i cuochi che scaleranno le classifiche, si prenderanno internet e domineranno le nostre cene al ristorante.
Eccoli, saranno famosi nel 2015.
RICCARDO GASPARI – El Brite de Larieto, Cortina d’Ampezzo (BL)
Cucina come: …il territorio gli ha insegnato e con le materie prime che nascono a casa sua. Nel ristorante di famiglia, dove è cresciuto e nel quale oggi lavora, il 60% degli ingredienti sono di produzione propria, e quando qualcosa viene da “lontano” arriva dall’Alto Adige.
Un “talebano” del chilometro zero che cerca di svecchiare le ricette della tradizione alleggerendo e rendendo più salutari e digeribili anche i grandi classici del luogo, conosciuti per essere non proprio leggeri.
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Per i fan di: Massimo Bottura, al quale si ispira, soprattutto dopo aver lavorato nella sua cucina per qualche tempo. Dove è il territorio a dettare le regole, allora il nome del mostro sacro modenese è d’obbligo.
Perché merita attenzione: Prima faceva il maestro di sci, poi ha voluto dare una mano nel ristorante di famiglia, e lì è scoccata la scintilla. Non dimenticate il suo nome: qui si vuole rivisitare la tradizione, ma non come fanno tanti dimenticando origini e caratteristiche.
Qui non si butta nulla del passato, si mantiene la sua essenza, ma pensando alle nuove esigenze di palato. E tutto si fa più interessante.
Lui dice: “Col tempo ho trasformato una passione in un lavoro. Sono un autodidatta fortunato, che in molti casi non ha bisogno di andare in negozio a fare la spesa.”
Il piatto: “Tartare di Speck”, realizzata con lo speck della casa stagionato 6 mesi, che ha ancora la giusta consistenza (piuttosto morbida) per prestarsi ad una tartare.
Viene servito con del rafano grattugiato, una crema di cetrioli sott’aceto e una cialdina di puccia (tipico pane nero con semi di cumino).
GIANLUCA GORINI – Le Giare, Montenovo di Montiano (FC)
Cucina come: la sua è una cucina sentimentale, espressione del suo modo di essere, quindi schietta e spontanea. Il sapore, quello vero, è la parola chiave, per non tradire mai l’identità e la veridicità del singolo ingrediente.
Per i fan di: Paolo Lopriore (è stato suo allievo per 4 anni, e la filosofia corrisponde), ma anche Niko Romito per i gusti essenziali e mai troppo nascosti.
Perché merita attenzione: Nella sua esperienza lavorativa si conta un anno nella cucina di un ristorante francese a Londra. Il richiamo della patria, però, è stato più forte di tutto.
E da qui, dopo aver preso spunti in giro per il mondo, è tornato per lavorare con i migliori prodotti, con la migliore tradizione, con tutto il meglio. Un fervente sostenitore della cucina italiana “caput mundi”.
Lui dice: “In tutto il mondo ci invidiano, per la moda, l’arte, la cucina. Se solo sapessimo diventare ambasciatori non solo di città d’arte e haut couture, ma anche dei nostri pomodori, per fare un esempio. Allora le cose andrebbero meglio.
Io lo faccio tutti i giorni lavorando, o almeno ci provo!”.
Il piatto: Insalata di anguilla al fumo di brace, spremuta di acetosa. Le erbe sono spontanee e raccolte dallo chef a pochi passi dal ristorante, esattamente come faceva la sua nonna.
La cottura dell’anguilla vuole guardare alla lunga tradizione romagnola della cottura alla brace, ma al posto che velocizzare il tutto con l’uso del fuoco vivo, qui Gorini agisce al contrario, usando pochissimo fuoco, ma più fumo per una lunga cottura-affumicatura.
Per finire la spremuta di acetosa che rimanda ad un gusto acido vuole attualizzare l’antico uso di spruzzare limone sulla carne d’anguilla.
EMANUELA TOMMOLINI – Osteria Esprì, Colonnella (TE)
Cucina come: una vegetariana alla quale piace anche la cucina vegana. A dicembre il ristorante Esprì ha fatto il passo definitivo ed è diventato completamente vegetariano, oltre che vegan-friendly.
Quella di Emanuela è una cucina naturale che segue rigorosamente i frutti e gli ortaggi della stagione, che parte da una scelta etica personale e col tempo si trasforma in un percorso anche salutista, grazie all’affiancamento con un nutrizionista e alla ricerca costante di sfamare corpo e spirito.
Per i fan di: Pietro Leemann, il guru della cucina naturale a cui uno chef VEG non può che ispirarsi, ma anche Simone Salvini.
Perché merita attenzione: Il suo non è un percorso classico, ma una scelta consapevole e un cambiamento di vita che avviene nel 2009, grazie anche all’incontro col socio Fabio. La fortuna sorride al progetto sin dai suoi esordi, che apre i battenti grazie ad un finanziamento di un bando.
Il DNA della famiglia di ristoratori è innegabile, ma oggi è l’impegno 24 ore al giorno che rende questa chef diversa da molti altri. La sua è una missione, un credo al quale si dedica dimenticando tutto il resto.
Lei dice: “Non bisogna aver paura di osare”, e questo ha fatto Emanuela quando ha deciso di trasformare definitivamente il ristorante in vegetariano. Ha preso in mano il suo coraggio e ha fatto quello che voleva fare da sempre.
Il piatto: “Giardino d’inverno” è composto da pere al Montepulciano, croccante di mais, gelato di spezie, cremoso arancio e cannella, melograno, datteri e mandorle caramellate. I dolci sono la sua vera, grande passione. Provare per credere.
CRISTOFORO TRAPANI – Piazzetta Milù, Castellamare di Stabia (NA)
Cucina come: un alchimista che mescola una miriade di ingredienti senza che il suo mix perda di semplicità. La sua è una cucina “aperta” che non si ferma al chilometro zero, lo supera e lo doppia senza perderlo di vista.
Sì agli ingredienti della sua terra partenopea, ma senza chiudere la porta a chicche gastronomiche dal mondo, che vengono da lontano e che a volte si fondono in un mix perfetto con le eccellenze di casa nostra.
Per i fan di: Antonino Cannavacciuolo, chi altro? Ma c’è anche un pizzico di Davide Scabin, di Heinz Beck e di Mauro Colagreco in questo chef emergente da seguire. Complice il suo curriculum che lo ha portato a fare esperienza nelle cucine di questi grandi nomi.
Perché merita attenzione: ha iniziato da piccolo, tra i fornelli era a suo agio fin da quando aveva 13 anni e bazzicava le cucine degli stabilimenti balneari. La svolta arriva quando scrive una lettera accorata ad Heinz Beck, con il quale lavora per un periodo.
Le sue esperienze sono molte e diverse, e compongono nel tempo uno stile di cucina eterogeneo e senza pregiudizi.
Lui dice: “nelle mie vene scorre sangue del Sud, ma nella mia cucina c’è anche molto Nord. Non è facile dalle nostre parti trovare animelle o un risotto degno. Io ci provo, e il risotto devo dire che non mi sembra male…”
Il piatto: “Via Schito, 42” , il classico carciofo di Schito arrosto come lo fanno a Castellamare. Cotto a bassa temperatura e poi passato alla brace, è ripieno di peperoncino, pancetta e prezzemolo in varie consistenze.
Nel piatto ci sono anche le sue foglie bruciate, che ricordano l’intenso odore di fumo ai bordi delle strade quando nella stagione dei carciofi da tutte la case, lungo la via, sale il profumo della brace e del fumo.
DAVIDE ZUNINO – Ristorante Mimmo, Milano
Cucina come: …detta la legge del palato. Senza mai stravolgere la materia prima, in un suo piatto potreste anche trovare il virtuoso mix di una decina (!) di ingredienti diversi.
Pesce, tanto pesce, spesso anche crudo in una macedonia di sapori dove ciascun ingrediente trova il suo spazio, ritrova la sua origine senza assomigliare ad altro se non a se stesso.
Per i fan di: Joan Roca, Sergei Arola. L’esperienza spagnola lo ha fortemente segnato nel modo di lavorare e di vivere la cucina. Ma oggi è l’Italia che lo ispira e il suo idolo è Davide Scabin.
Perché merita attenzione: perché finora ha girato molto, ma oggi sembra aver trovato casa stabile a Milano, crede nel progetto del ristorante e ci dedica anima e corpo.
Perché sa essere originale senza copiare, perché è capace di inventare, perché il suo piatto forte è il pesce, ma dovreste provare anche le carni…
Lui dice: “Per una questione di principio ho detto no allo stage da Ferran Adrià. Forse ho sbagliato, ma nel mio percorso ho comunque imparato moltissimo”.
Il piatto: “Insalata di frutti di bosco con frutto della passione, sorbetto al litchi e zuppa calda di olio extra vergine di oliva”. In questo piatto c’è la sua anima taggiasca, le sue origini, i prodotti di casa e non solo, e infine anche la sua storia professionale.
[Crediti | Link: Dissapore]