Il Solstizio D’Estate. Che bella giornata: per festeggiare l’arrivo della nostra stagione preferita, c’è chi brucia qualche mazzo di erbe aromatiche, e chi invece arrostisce qualche migliaia di cani, giusto così, per iniziare l’estate con il piede giusto.
Se non l’avete ancora capito stiamo parlando del famigerato festival della carne di cane che si svolge in Cina, ogni 21 giugno, a Yulin, dove ogni anni 10 mila fra cani e gatti (massì, tutto fa brodo…) vengono macellati, bolliti e consumati per festeggiare l’arrivo della nuova stagione.
Una mattanza che lascia sgomente schiere di cinofili di tutto il mondo, fra cui non possono mancare i rappresentanti italiani: oltre all’immancabile ex Ministro Brambilla, uno stuolo di circa 200 Animalisti Italiani Onlus hannoassediato l’ambasciata cinese a Roma in difesa del migliore amico dell’uomo, protestando contro una tradizione considerata barbara ed anacronistica.
Non sono mancati costumi carnevaleschi conditi con un tocco da Grand Guignol (uomini incrociati con dalmata, insanguinati), che a nostro avviso rischiavano di tramutare la manifestazione in una pagliacciata a metà strada fra una protesta ed un flash mob mal riuscito.
Fra strilli e proclama, i facinorosi hanno rimediato la chiusura dei cancelli dell’ambasciata e la formazione di un cordone di sicurezza alla “di qui non si passa”, cui segue la lapidaria risposta dall’ambasciata “è un affare interno che non vi riguarda”. Da tradurre – visto che stiamo a Roma – con l’immancabile “sticazzi”.
Alcuni membri della combriccola di cinofili animalisti sono però riusciti a penetrare le blande difese e a scagliare l’ultimo anatema, seguito da una lettera indirizzata all’ambasciatore Li Ruiyi, vero obbiettivo dell’intemerata, dove si richiede di “intervenire presso il governo cinese per chiedere l’abolizione del consumo di carne di cane e gatto, già vietata in altri Paesi asiatici come Taiwan, Filippine, Singapore e Hong Kong”.
Lo scontro fra cinofili e cinofagi anima l’opinione pubblica da diversi anni e rappresenta ancora oggi opposte prospettive culturali che vanno oltre alle mere tradizioni. Per qualcuno si tratta semplicemente di un retaggio folcloristico, né più né meno come lo sono altre abitudini.
L’esempio più lampante è quello del cavallo: l’equino è consumato abitualmente anche in Italia, ed è difficile negare il parallelo a chi lamenta una disparità di trattamento tra Furia e Fido. Disparità che a quanto pare non esiste in Cina, dove tutto ciò che si muove e pare commestibile, finisce in pentola indiscriminatamente.
Per altri la sola idea di vedere il miglior amico dell’uomo accompagnato da una porzione di patate al forno rappresenta un abominio non solo gastronomico ma soprattutto morale, degno dello stesso disprezzo che si potrebbe rivolgere ad una qualunque pratica di cannibalismo. A torto o a ragione, oggigiorno cani e gatti sono considerati come membri di una famiglia e mai e poi mai ci sogneremmo di considerarli come fonte di affettato anziché di affetto.
La questione culturale, in questo caso, trascende: “secondo dati ufficiali del ministero della Sanità cinese – dichiara l’Associazione Animalisti Italiani Onlus – ogni anno muoiono tra le 2.000 e le 3.000 persone a causa della rabbia contratta per il consumo di cani”. Fortunatamente l’Associazione evita di fare di tutta le Cina un fascio “Yulin non rappresenta tutta la Cina: a Pechino e in molte altre parti del Paese il cane è diventato uno status symbol e si spendono anche molti soldi per la sua cura e per la toletta”.
Ok, è giunto il momento dell’esperimento mentale: immaginate di trovarvi davanti ad un piatto di dalmata arrosto, certi di non rischiare di diventare idrofobi. Voi che fareste? un morso a Pongo non glielo date?