Tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, nell’Impero romano si ebbe un colossale incremento del consumo di vino. Aumentavano le superfici coltivate a vite, aumentavano le rese, si sviluppavano nuove aree urbane. Soprattutto era caduta l’interdizione del vino alle donne, e anche agli schiavi ne era concessa una razione giornaliera.
Come nota Aulo Gellio in Le notti attiche, tutti gli adulti bevevano: “Invece il pasto astemio, nel quale non si beve vino, è detto pasto canino, poiché il cane si astiene dal vino”.
Duemila anni dopo, i cani continuano a evitare l’alcol e tuttavia reclamano di consumare il loro pasto astemio al ristorante, con noi. O quantomeno di assistere al nostro, col conforto di qualche bocconcino passato discretamente sotto il tavolo. Soprattutto quando viene l’estate, e in vacanza capita di mangiare al ristorante più spesso che in città, si vorrebbe tanto – noi e loro – non doversi separare al momento del pasto. Anche perché non li si lascia in macchina, per via del caldo e del rischio di furti; né si può abbandonarli in una camera d’albergo o in un appartamento in affitto, in cui si sentirebbero sperduti.
Anzitutto bisogna sapere che in Italia non esiste alcuna legge che vieti l’ingresso ai cani nei locali pubblici e negli esercizi commerciali. Il divieto, dunque, è solo una scelta commerciale (e illegale) dell’esercente, scelta che tuttavia possiamo anche comprendere: non ci sono forse alberghi molto esclusivi che non accettano nemmeno i bambini?
Detto questo, in tempi di crisi, anziché lamentarsi di avere il ristorante vuoto, si potrebbe fare di necessità virtù e aprire l’ingresso a tutti, incluse le bistrattate famiglie con cane al seguito. I cani sporcano, abbaiano, fanno inciampare camerieri? È una conseguenza della maleducazione dell’essere umano, condizione che si fa notare anche senza bisogno di animali domestici. Il cliente “insopportabile” lo è comunque, con o senza cane.
Se poi vogliamo sognare, immaginiamo le magnifiche sorti e progressive delle vacanze con cane nella catena di lusso Fairmont hotels, dove si viene accolti da “canine ambassadors”, con piatti appositi creati dagli chef: c’è persino un menu vegetariano, organico e senza ormoni, studiato per assecondare le proiezioni salutistiche della specie umana su quella canina.
Quanto a noi… rimarremo sul lago di Garda o nelle Marche o in Sud Tirolo, lasciando lussi e mollezze a cani (e padroni) più doviziosi, e tuttavia contando che la crisi faccia almeno una cosa giusta: costringa albergatori e ristoratori a smettere di respingere la gran quantità di clienti accompagnati dai propri amati cani.
[Crediti | Dalla rubrica “Cibo e Oltre” di Camilla Baresani su Sette, inserto del Corriere della Sera. Immagine: Edmund Fountain, Times]