Il Campionato Italiano della Pizza oggi conosce il vincitore del tabellone Resto d’Italia. Dopo ennemila assaggi sono arrivati al traguardo della finale: Sforno e Michele da Ale. Roma contro Senigallia, pizza tonda napolitan style vs. pizza a metro come da Università della Pizza, quella di Vico Equense.
Imitazioni? No, si tratta di elaborazioni proprie, e parliamo di farine, impasti, tecniche, manualità che guardano a Napoli come inizio della storia ma poi scrivono altri capitoli. Mettiamo Roma, ad esempio, che qualche anno fa (un quarto di secolo fa) era il regno della scrocchiarella e basta tradotta dai napoletani con frisbee.
SFORNO
Poi arrivò Stefano Callegari in uno dei quartieri più popolosi della capitale, Tuscolano, e fu Sforno. Cioè la pizza morbida che non è il libretto classico ma ha la sua lievitazione, la sua spinta, la sua alveolatura (perché c’è un cornicione). Una scoperta per chi (io) doveva sopportare lunghi periodi di astinenza da pizza.
La finale l’abbiamo giocata con diverse pizze. Benchmark di riferimento, al solito, la Margherita che in questo caso è Super, ovvero pomodoro, fiordilatte, basilico, parmigiano. Poi due specialità della casa.
Memore della scorsa puntata, premetto una notazione importante: Stefano Callegari è per la cottura “estrema”, un punto oltre a cercare la croccantezza. Questo non vuol dire che le pizze siano bruciate come qualcuno ha inteso guardando le foto. Un’area da microchip avvampata non è una bruciatura. Messe (forse) a tacere le prime critiche da sguardo fotografico, ecco i risultati dell’assaggio.
— Aspetto visivo. Restituisce subito quello che è: pizza morbida con tenuta croccante, qualche avvampatura.
— Cottura. Al punto giusto
— Impasto/consistenza. Non siete a Napoli e la pizza non la potete piegare. La fetta sta quasi diritta da sola, il morso è sincero.
Specialità della casa.
Dici Sforno e non puoi pensare alla Cacio e Pepe e alla Greenwich. Stefano Callegari ha cercato di riportare sulla pizza la voluttuosità della pasta che è uno dei simboli della cucina di Roma. La Greenwich, invece, è un omaggio ai viaggi a Londra e a uno dei formaggi che meglio identificano le selezioni della capitale britannica: lo Stilton.
La Cacio e Pepe è il risultato di una serie di prove che hanno permesso a Callegari di individuare il sistema per mantenere il formaggio sulla pizza senza fonderlo. Si usa il ghiaccio sul disco di pasta e il gioco è fatto. Sembra abbastanza semplice.
— Aspetto visivo. La Cacio e Pepe viene servita a spicchi e al centro troneggia il macina pepe per consentire ai commensali di dosare il quantitativo desiderato. L’aspetto è tra l’invitante e il salivante. Il profumo intenso fa parte della presentazione.
— Cottura. Sto rivalutando l’utilizzo del concetto di millimetrica.
— Impasto/consistenza. Vale la stessa considerazione della Supermargherita. Impasto elastico e tenace. La fetta non si piega e il cornicione è bello alveolato.
La Greenwich è una pizza con mozzarella, blue stilton e riduzione di porto. E’ un altro dei successi del locale che coltiva esotismi come anche la Fisherman legata a doppio filo alle caramelle balsamiche. La bravura del pizzaiolo è di mantenere nei limiti la presenza dello stilton che potrebbe tragicamente coprire ogni sapore.
— Aspetto visivo. La Greenwich si distingue per i cerchi concentrici disegnati dalla riduzione di porto e dai fiocchetti del formaggio inglese.
— Cottura. Sempre perfetta, in questo caso il punto estremo è più lontano.
— Impasto/consistenza. Anche in questo caso l’impasto si contraddistingue per la sua tenacità che offre la giusta resistenza al morso. Impagabile.
— Giudizio: la pizza di Sforno non è la classica romana scrocchiarella ma nemmeno la napoletana da piegare in quattro. Una via di mezzo che piace molto, e anche nell’interpretazione capitolina del condimento si segnala per la qualità degli ingredienti.
— Prezzo medio: € 9,50.
Voto: 95/100
Sforno, Via Statilio Ottato 110/116. Roma
MICHELE DA ALE
Michele è stato un locale di gran successo in anni in cui ero abbastanza giovane e impressionabile da mandarlo a futura memoria. Poi è arrivato Ale, ovvero Alessandro Coppari (ma Ale è anche Alessio, suo fratello) che ha rivoltato come un guanto il pizzificio formato cartolina, con tanto successo da generare il sequel, la pizzeria MezzoMetro Da Ale aperta a Jesi (AN).
Sto facendo tutte queste premesse non per spiegarvi come si faccia la pizza in un locale che per collocazione —il vacanziero lungomare di Senigallia— potrebbe allegramente disinteressarsi alle farine con alto valore di W (elevato contenuto di glutine), ai pre-impasti, alle lunghe lievitazioni, alla cucina senza glutine (a richiesta pane, pizza, pasta fresca, dessert e dolci al cucchiaio sono tutti squisiti e gluten-free). Voglio piuttosto documentarvi quel tesoretto di credibilità che ha portato un’oscura pizzeria ai confini dell’impero sino alla finale del Campionato della pizza, nella parte del tabellone riservata al “Resto d’Italia” (la Campania è a parte).
La pizza al metro di Michele da Ale è piuttosto unica per sapore, morbidezza e digeribilita, cotta in un grande forno a legna “Ambrogi Forni” rivestito in pietra refrattaria, dove la temperatura si aggira tra i 350 e i 400°C, un compromesso per rendere possibile in una pizzeria da grandi numeri (120 metri di pizza in un sabato sera, corrispondenti a 450 pizze tonde) la gestione di tre diversi impasti: pizza tonda, pizza kamut e pizza al metro.
Per la finale abbiamo assaggiato una Margherita, la più classica delle pizze tonde, e due versioni di pizza al metro, una semplice Estiva, margherita con il pomodoro a pezzettoni, e la più raffinata Parmigiano e aceto balsamico. Prima di passare al dettaglio, un plauso al recente restyling del locale, che ne ha migliorato aspetto e acustica, prima decisamente infernale.
– Aspetto visivo: i rettangoli attizzano più del classico disco. Addentando la margherita si conferma buona, ma se con la pizza al metro non entrassero in campo diversi elementi destabilizzanti, chiamiamoli superpoteri, forse non saremo qui a parlare di Michele da Ale. Il cornicione? E’ uno spettacolo.
– Cottura: omogenea e rapida.
– Impasto/consistenza: Le farine ad alto valore di W (con elevato contenuto di glutine), i pre-impasti e le lunghe lievitazioni rendono la pasta perfetta per morbidezza ed elasticità. Per gli intolleranti al frumento ci sono farine bio di riso o grano saraceno lavorate in purezza (come la Senatore Cappelli), o con aggiunte che ne addolciscono il sapore, vedi la farina di canapa sativa.
– Leggerezza/digeribilità: i-n-c-r-e-d-i-b-i-l-e. La parte migliore dopo il sapore, fragranza e leggerezza si percepiscono morso dopo morso.
– Sapore: talebani accecati dalla tradizione e gourmet esaltati dalla lievitazione con pasta madre facciamo pace e stringiamoci la mano. Michele da Ale mette tutti d’accordo.
– Birra/Vino: ottima la Augustiner Malheur. Estrella Daura e Ambar per ricordare che siamo nel tempio del senza glutine.
– Servizio: guidato da Marco (detto Wolf, risolve i problemi), il servizio è preciso e cordiale anche nei momenti critici dei pienoni estivi: tra l’ordine e la consegna delle pizze passano dai 5 ai 10 minuti.
Giudizio: Tra le pizze de-napoletanizzate una delle mie preferite, se fossi un entusiasta potrei quasi gridare al miracolo.
– Prezzo medio: 6 Euro.
– Voto: 94/100
Ristorante Pizzeria Michele da Ale, Lungomare Da Vinci, 33 – Senigallia (Ancona) Tel. 07160578.
Epico scontro tra due pizze diverse, ambedue osannabili alternative alla pizza napoletana. Sforno più attento alle esigenze dei gourmet, Michele da Ale degnamente impegnato sul fronte della cucina senza glutine. Sia Stefano Calligari che Alessandro Coppari sono pizzaioli bernoccolati, il primo vince il Campionato di un’incollatura per la perfezione di ogni piatto servito, mentre l’altro, autore di una memorabile pizza a metro, perde qualcosa nella tonda. Ma onore ai finalisti del tabellone Resto d’Italia, hanno il grande merito, nelle rispettive città, di non far rimpiangere Napoli.
[Gli altri episodi. Crediti | Immagini: Vincenzo Pagano, Oraviaggiando, Massimo Bernardi]