Che una Cesar Salad infarcita di crostini fritti e colante le salse più immonde non fosse un toccasana per la nostra dieta, e forse nemmeno per un’etica del cibo sostenibile, lo immaginavo anche da sola.
Invece, parlando di insalate, c’è voluto il proclama del Washington Post, seguito a ruota dal Guardian, per instillarmi il dubbio che anche la mia razione di lattuga non sia proprio il massimo.
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Quella che compriamo già lavata e imbustata, ad esempio, si deteriora in fretta: questo significa o che siamo misurati consumatori che ne acquistano dosi matematicamente centellinate, oppure che troppo spesso la nostra busta finirà nel bidone dell’umido.
E poi c’è la storia delle risorse idriche: un cespo d’insalata ha bisogno di tanta acqua, il che la fa andare a braccetto con la storia della bistecca che, prima di arrivare nel piatto, ci è costata mezzo Lago di Garda.
Per non contare quelli che comprano la busta già lavata e poi, così sulla sfiducia la rilavano (e giù acqua).
E, se non bastasse ancora, non torna nemmeno la questione del prezzo/resa, visto che l’insalata (specie se in busta) costa cara e il nostro organismo ne beneficia in tanta acqua e poca sostanza.
Gli allarmisti cronici potranno anche crogiolarsi nel fattore rischio malattie: le verdure a foglia verde, secondo uno studio americano, sono state la causa del 22% di tutte le malattie di origine alimentare dal 1998 al 2008. Certo, ci sono anche spinaci e altri cugini stretti della rucola nel mirino, ma visto che è l’insalata la più a rischio (perché consumata cruda), allora il terrore dovrebbe concentrarsi proprio sulla nostra amata fogliolina.
Vogliamo parlare dei condimenti dell’insalata?
Nello specifico dell’imbroglio universale dell’insalatona mista che fa tanto “lunedì inizio la dieta” e poi ci si ritrova a fare i conti con intrusi ipercalorici, per l’occasione travestiti da cibo light, che vanificano tutti i nostri buoni propositi?
Insomma, insalata is the new olio di palma, a dar retta a loro.
Che la questione sia un pochetto ridimensionabile ce lo conferma anche una pagina del Corriere della Sera di oggi che dipinge un quadro dell’umanità intenta a buttare nel pattume buste d’insalata, ma anche a scegliere verdure di stagione, e a rimettere i puntini: patate e grano (quindi pasta) consumano più acqua dell’insalata nella fase di coltivazione.
Il dietologo, poi, consiglia l’aceto di vino e non quello balsamico per non appesantire un piatto ipocalorico.
Insomma, da qui a demonizzare l’insalata il passo è breve.
Ora, grazie alla stampa estera, abbiamo aperto gli occhi sulla vergogna mondiale dei mangiatori di insalata (fate ammenda, o voi peccatori).
Tra i più colpiti dalla faccenda dell’insalata sopravvalutata ci sarà di certo tale chef tristellato Enrico Crippa. Udite e tremate: costui in un’insalata ci infila 21, 31, 41 erbette diverse e ve la “regala” a sole 45 euro.
Al patibolo anche i ristoratori di mezza Italia che non si rassegnano alla pensione e continuano a imbellettarci la grigliata di pesce con tristi foglie di lattuga e ciuffetti anarchici di rucola.
Via, di corsa, tutti a zappare.
[Crediti | Link: Washington Post, Guardian, Cdc.gov, Dissapore. Immagini: Corriere della Sera, Food 52]