Chef e Sponsor, alta cucina e prodotti della grande distribuzione, concetti che inseriti nella stessa frase stridono come le unghie di un bambino dispettoso sulla lavagna. Eppure. Quando Lavazza, nostro partner per l’edizione appena conclusa del Salone del Gusto, mi ha chiesto di raccontare ai nostri lettori il laboratorio di Massimo Bottura, non immaginavo un’esperienza del genere. Certo, so che Bottura è uno chef creativo, ma non mi aspettavo qualcosa di così coinvolgente, di così “estremo”, se mi passate il termine.
Quello che ha avvicinato Bottura a Giuseppe Lavazza, ci ha raccontato lo chef, è la voglia di uscire dagli schemi e sperimentare. Il caffè è un ingrediente sottovalutato nella cucina italiana, incastrato tra il buongiorno, il dolce e il fine pasto, poco valorizzato nelle vesti di aroma ma con tutte le carte in regola per diventare protagonista nelle portate principali. Così Bottura, sfidato a mettersi alla prova su questo tema, ha dimostrato il potenziale del caffé, lo ha allontanato dalla zona comfort e scaraventato in un delirio di sapori.
“Vieni in Italia con me” è il primo piatto che abbiamo assaggiato, creato in occasione della presentazione londinese dei “50Best” San Pellegrino, la classifica dei ristoranti migliori del mondo. Deve il nome a una scoperta fatta da Lara, moglie dello chef, in un negozio di antiquariato: un libro il cui titolo è appunto “Vieni in Italia con me”. Parla di un giovane che attraversa lo Stivale alla ricerca dell’amore, amore che presto si rivela essere per i luoghi, per i dettagli, per la nostra terra. In questo caso, il viaggio è al centro del menù dell’Osteria Francescana, e la prima tappa è proprio questo piatto.
Si parte dalla Sicilia: nel bicchiere c’è una granita di acqua di mandorle, omaggio a Corrado Assenza, pasticcere del Caffè Sicilia di Noto, ci sono i capperi e l’origano di Pantelleria, c’è il sud della Calabria e della Campania. Assaporandolo passi dal dolce e il salato, ti incastri sugli spigoli, ti diverti con consistenze sempre diverse. Ogni assaggio regala una prospettiva nuova perché caffé, mandorle, bergamotto, sale e capperi in bocca arrivano sempre in proporzioni diverse, eppure amalgamati alla perfezione.
Il secondo piatto invece è un paesaggio, incredibilmente bello da vedere, che cambia ad ogni stagione. E’ stato ideato guardando un pascolo dall’alto, il verde del prato, le macchie bianche delle mucche e il profumo straordinario d’erba. Il nome è “Think Green”. La versione estiva naturalmente è colorata, floreale, mentre quella attuale è ispirata all’autunno, con colori più caldi e sapori decisi come funghi, polvere di radici, zucca passita, pane di caffé Tierra!, caglio e tartufo che con il caffé, abbiamo scoperto, si sposa in modo sorprendentemente armonico. La masticazione è la cifra di questo piatto giocato comunque su piccolissimi dettagli sempre diversi. Sono curiosa di conoscere la versione invernale.
L’ultimo piatto assaggiato, “Anguilla sporca”, è dedicato a una vicenda storica: il viaggio degli Estensi da Ferrara a Modena. Risalendo un fiume, l’anguilla si sposta e trova nuovi ingredienti come la polenta, la mela campanina, il mosto cotto (saba), il caffé per poi sporcarsi con una polvere di carota, sedano e alloro. E io che non ho mai amato questo pesce grasso e un po’ viscido, l’ho apprezzato finalmente in modo diverso.
Mentre i ragazzi preparavano una sopresa in diretta, Bottura ci ha esposto la sua teoria della piramide, ovvero la ricetta per riuscire come cuochi (estendibile, si intende, anche ad altre categorie): prima di tutto la testa, poi la tecnica a servizio degli ingrdienti, quindi passione, umiltà e sogno. Così, se qualcuno volesse appuntarselo.
Infine la sopresa. Bottura ci ha fatto leccare – letteralmente – la sua ultima creazione: la lepre nel bosco. Non so se sono in grado di raccontare un piatto così complesso, splendido da vedere, che in bocca stupisce in modo caotico, stimolando un centinaio di emozioni differenti. Ci sono la lepre frollata e cruda, il pane di caffé, il foie gras, la vaniglia, il cioccolato, la liquirizia, le radici, la buccia di limone, le alghe disidratate, il sale di vaniglia, il tutto infilato in un gioco micidiale in cui le note salate rincorrono quelle dolci all’infinito, stordendoti.
Beppe Palmieri, maître e sommelier del’Osteria Francescana, ha proposto in abbinamento per questo piatto tre soluzioni diverse: un bianco dolce, il Piculit Picolit, un liquore di Genziana, e un blend di tre vini diversi da lui realizzato direttamente a tavola (un bianco di Gabrio Bini, una Malvasia e un Riesling), che per gli eno-fissati equivale a una bestemmia a denti stretti e che invece si è rivelato un esperimento notevole.
Il laboratorio è finito con quasi un’ora di ritardo tra foto, autografi, gridolini di fan impazzite, e applausi, bisogna dirlo, meritati. Sono andata via ripensando agli abbinamenti con il caffé e quello che più mi ha colpito rimane il tartufo. Menzione speciale anche per capperi e origano. A voi vengono altre idee?