Oggi non me la sentirei di portare al pranzo della domenica un vassoio che non contenga almeno mezza dozzina di macarons, qualche cioccolatino artigianale magari pralinato, e ripieno al sale dell’Himalaya, e per riempire i buchi qualche pasticcino mignon di design, con gelatina al frutto della passione.
Poco racconta l’evoluzione (involuzione?) gastronomico-sociale degli ultimi anni come il cabaret di paste comprato la domenica dopo la messa: nel giorno in cui il Bel Paese celebra la cucina casalinga e le tavolate di una volta il menu è rimasto lo stesso: pasta ripiena e arrosto con patate al forno il più delle volte, ma nel dessert l’esuberanza del gastrosofo contemporaneo dà il meglio di sé.
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Ecco, per non dimenticare, una lista delle pastine che troviamo ancora nei borghi, nelle pasticcerie di periferia, in quei luoghi inconsapevolmente votati al vintage che probabilmente dovremo tutelare come patrimonio dell’umanità.
1. PETIT FOUR.
Il nome è mutuato dalla pasticceria francese: di per sé non vuol dire molto, infatti, nella versione che conosciamo noi, si dovrebbe chiamare petit four alla mandorla. La copertura di pasta di mandorle dorata racchiudeva un cuore di pan di spagna al rum, e quasi sempre sopra c’era una ciliegia candita rossa, o, più sorprendentemente, verde. (A proposito: che fine hanno fatto le ciliegie candite verdi?)
2. FIAMMA.
Dalle mie parti si chiamava così un eclair ripieno di zabaione, ricoperto di zucchero a velo e tagliato a metà diagonalmente: il colore giallo scuro dello zabaione e la forma allungata dovevano farlo assomigliare a una fiamma. La mia immaginazione, pur dopata dalla tenera età, non arrivava a tanto: io la fiamma la lasciavo sempre nel vassoio. La foto non rende l’idea, ma appunto, come dicevo, sono paste in via di estinzione.
3. CANNOLO DI SFOGLIA.
Una pastina senza infamia e senza lode, fatta per piacere ai bambini e a chi ha gusti difficili. Il cannolo di sfoglia caramellata allo zucchero e ripiena di crema pasticcera, o di cioccolato, per me poteva essere la seconda pastina, magari la terza, ma non certo la mia prima scelta.
4. DIPLOMATICA.
Orgoglio della pasticceria italiana, la diplomatica era tanto bella da vedere quanto poco golosa da mangiare, almeno per me. L’idea che ne avevo era più o meno questa: perché devo mangiare una pastina che assomiglia così prepotentemente a una fetta di torta?
5. BIGNE’.
Di bignè nel vassoio ne mettevi sempre due o tre, meglio due al cioccolato e uno alla crema, viceversa i bimbi della tavola avrebbero litigato. Una pastina passe partout, e una delle poche ad essere arrivata intatta sul banco pasticceria ai giorni nostri.
6. CESTINO ALLA FRUTTA.
Anche questa una pastina che si prendeva per i bambini, a patto però che ci fosse la fragola sopra. Potevamo sopportare il chicco d’uva, se di stagione, ma niente kiwi e ananas per cortesia.
7. BOMBA AL CIOCCOLATO.
C’è chi lo chiama salame al cioccolato, ma non ha molto a che fare con il salsicciotto che preparava la mamma alle feste di compleanno. La pastina al cioccolato della pasticceria è spesso più burrosa e profumata al liquore. Non c’è traccia di biscotti secchi e ti rimane quasi tutta sui denti: mai sorridere dopo averne mangiato una.
8. TIRAMISU’.
Altra torta prestata al banco pasticceria, la fetta di tiramisù aveva una consistenza inspiegabilmente solida rispetto allo sformato di crema e savoiardi con la crema che colava da tutte le parti. Io la ignoravo con diffidenza.
9. MERINGA ALLA PANNA.
Dipende. Si ama o si odia come tutte le cose eccessive, niente vie di mezzo. Dietro l’aspetto candido e innocuo si nasconde una perfida alchimia di zucchero e albumi. A sua difesa va detto però che è senza tuorli, oggi diremmo senza colesterolo.
10. PACCHETTINO.
Non era un dolce, ma faceva parte del rito. Il pacchettino incartato con maestria dalla banconiera, veniva infiocchettato in modo da passare due dita dentro l’asola del nastrino e portarsi a casa le pastine senza rovinarle. Una volta spacchettato il nastro diventava un gioco per i bimbi. Provate a farlo con il packaging di design dei vostri macarons.
Ma parliamo di numeri: il cabaret di paste prevedeva due o tre paste a commensale, oggi voi quanti macarons calcolate a testa? Per avere lo stesso effetto sazietà credo ne servirebbero almeno dieci, con relativa accensione di un mutuo quando si passa alla cassa.
[Foto crediti: pianeta donna, shades of cinnamom, cassibba, giadapasticceria, berberis genova, mad mood, hangitarif, dolce crema, benedetta bruzzi, Camaleonte on the road]