Perché Riso cacio e pepe mi chiede Dissapore? Cacio e pepe ovvero un’icona della cucina romana. Un piatto apparentemente semplice in realtà molto complicato. Ho cercato di rispettarne l’essenza modificando la struttura. Il risultato? Una riflessione sul nostro passato, il mio territorio, la tecnologia e la ricerca, la proiezione verso il futuro.
Prima di tutto una domanda: chi sono e da dove vengo?
La pasta: ho scelto il riso vialone nano, un cereale affinato, con riferimento ai racconti di Lidia Cristoni (sfoglina all’Osteria Francescana, di Campazzo di Nonantola, da dove vengo) protagoniste le mondine che 50 anni fa raccoglievano nelle risaie del mantovano e del basso veneto. Le potevi vedere alla stazione di Nonantola, sorridenti, piene dei canti che sostenevano il loro lavoro. Vocianti al mattino così presto che nemmeno avevano la luce per dare nome al giorno.
Il “cacio”, per me emiliano, non è il pecorino ma il Parmigiano Reggiano, l’ingrediente più importante e più iconico della cucina italiana. Il nostro formaggio creato dalle colline al Po, risultato di un corretto nutrimento delle vacche, del latte crudo, dei tempi lunghi, dei silenzi e della nebbia.
La sperimentazione passa per la creazione di un’acqua, di un “dashi” di Parmigiano, recuperando la crema affiorata da usare nella mantecatura.
La “forma” ispirata da una delle mie passioni, l’arte contemporanea (chi sono), mi ha suggerito l’immagine di questo acromo (non colorato), come nelle opere di Piero Manzoni, uno dei più importanti artisti italiani degli anni ’60, un romagnolo. Un acromo il cui gioco di non colore lascia presentire le vibrazioni che avremo al palato, un riso nella sua purezza, non intaccato da cipolla soffritta o dall’acidità del vino.
Per questo ho voluto sublimare il profumo del pepe con una una ricerca: per portare nel piatto una straordinaria varietà olfattiva, sono arrivato a selezionare sei diversi tipi di pepe.
Ho cercato di racchiudere questi profumi in un unico bouquet creando un’acqua distillata con il profumo dei sei pepi. Acqua trasparente da stendere come un velo sulla superficie increspata del risotto, che a contatto col calore esplode tutta la sua potenza.
L’icona del cacio e pepe, il Parmigiano, il riso, le mondine, Manzoni…
Dobbiamo recuperare gli elementi che hanno fatto grande l’Italia, abbiamo il dovere di re-innamorarci del nostro Paese e guardarlo con occhi nuovi per traghettarlo in un futuro di speranza.
INGREDIENTI
0,5Kg di Vialone nano
1,5Kg di Parmigiano Reggiano 30 mesi di Razza bianca Modenese
4 Litri di acqua minerale naturale
5g di pepe bianco
2,5g di pepe di sechuan
2,5g di pepe lungo della giamaica
2,5g di pepe di Sarawak
2,5g di pepe selvatico
Grattugiare il Parmigiano Reggiano, mescolarne 1,5 kg in acqua fredda e portarlo lentamente a 80°C in una pentola. E’ importante non superare i 90°C.
Quando vi accorgete che il parmigiano sul fondo inizia ad essere filante, toglietelo dal fuoco e fatelo freddare fino a temperatura ambiente. A questo punto copritelo con la pellicola e fatelo riposare una notte in frigorifero.
Il giorno seguente noterete una patina solida di materia grassa in cima alla pentola. Raccogliete il grasso in una ciotola e conservatelo. Filtrate il rimanente con un colino fine ricavando così l’acqua di Parmigiano.
Tostare il riso in una pentola d’acciaio a doppio fondo, fino a quando non prende temperatura. Iniziare a bagnare il riso con l’acqua di Parmigiano come se fosse un normale risotto. A ¾ di cottura iniziare ad aggiungere un po’ di grasso di Parmigiano. A cottura ultimata si manteca col rimanete grasso di Parmigiano avendo cura di mescolare con energia fino ad ottenere una consistenza cremosa.
Schiacciare i pepi singolarmente a parte il pepe della Giamaica. Il Pepe della Giamaica va macinato.
Stendere il risotto su un piatto e cospargerlo con le polveri delle diverse varietà di pepe.
Per recuperare la parte solida rimasta sul fondo della pentola potete tagliarla a fettine sottili e metterla in un microonde a 800w per pochi secondi per realizzare chips croccanti da servire con funghi o tartufo.
[Massimo Bottura è lo chef del ristorante Osteria Francescana di Modena]