Steakhouse non è traducibile, cioè “bisteccheria” non si può sentire. A ben guardare nemmeno steak si può rendere semplicemente con “bistecca”.
Diciamo che dai primi del Novecento nelle grandi città americane, alcuni ristoranti iniziano a specializzarsi: diventano steakhouse. Ne nasceranno di raffinate, come Delmonico’s che farà storia, con le tovaglie impeccabili e i tavolini-privé. E ne verranno di becere e rumorose, stile Wild Wild West.
Una cosa però le accomunerà tutte: la star del menù sarà la bistecca.
Prima della classifica, credo sia utile un ripassino di anatomia: i tagli americani sono un po’ diversi da quelli con cui abbiamo familiarità noi, non è sempre detto che corrispondano.
20) Cattleman’s Steakhouse, Fabens, Texas.
In questo storico ristorante subito fuori El Paso, il gestore Dieter Gerzymisch da oltre 40 anni sceglie la migliore carne della zona, e siamo in Texas: ce n’è parecchio di manzo in giro. Sua maestà il Manzo è proposto nei suoi tagli classici (la lombata, la New York strip che poi sarebbe la short loin, la costata, …) accanto a tagli creati appositamente per il suo menù.
E questa è pura poesia di genere: The Wagon Master, una T-bone da 550 gr, la Cowgirl, da 700 gr, e infine il Cowboy, da 1kg. C’è anche il gift shop a tema Vecchio West, per non farsi mancare proprio nulla.
19) Mr. B’s, Milwaukee.
Il proprietario di Mr. B’s è lo stesso del più conosciuto Bartolotta Ristorante, ossia (udite udite) Paul Bartolotta. Da Mr. B’s si trovano i migliori tagli provenienti dal Nebraska e dal Colorado che, dopo una frollatura di quasi 35 giorni, vengono proposti nei tagli classici. La costata raggiunge livelli paradisiaci.
18) Murray’s, Minneapolis.
Istituzione della Twin Cities sin dal 1946, quando i coniugi Art e Marie Murray aprirono questo locale dagli inconfondibili interni rosa. Il locale è ancora orgogliosamente a conduzione familiare e, forte di una recente ristrutturazione che ha lasciato intatta l’atmosfera e la storica insegna (ma ridato le tinte, grazie al cielo), propone ancora la ricetta con cui è diventato un monumento cittadino: la Silver Butter Knife Steak per due, 800gr di lombata tagliata al tavolo.
17) Gorat’s, Omaha, Nebraska.
Questo è uno dei ristoranti preferiti di Warren Buffett. E chi è? Bah…poca roba, tipo il III o IV uomo più ricco del mondo, detto anche l’oracolo di Omaha.
Questo almeno fino al 2012, quando il ristorante ha cambiato gestione (era stato gestito dalla stessa famiglia fin dal 1944). Per il momento Buffet non si è ancora espresso ufficialmente, ma voci di corridoio rassicurano che la bistecca é sempre eccellente, perché non è stato cambiato lo storico fornitore: ovviamente, la Omaha Steaks.
16) CarneVino, Las Vegas.
Mettete insieme Mario Batali, Joe “Voichemuoro” Bastianich e nientemeno che il The Palazzo Hotel&Casino di Las Vegas. Ecco che si ottiene CarneVino, tempio della steak americana (ma non solo, insomma è pur sempre Batali, quindi non può mancare la pasta) con una frollatura da guinness dei primati: nella sezione “Riserva” del menu, si possono trovare invecchiamenti dai 30 ai 60 giorni, fino a un anno intero.
15) Oak Steakhouse, Charleston, S.C.
Il patron di questo ristorante, valente chef che si è formato nelle più rinomate cucine di NY, passando da Le Bernardin al Per Se, si chiama Jeremiah Bacon. Ironia della sorte o piccola imprecisione del “destino nel nome”? Comunque sia, Mr Bacon non se la cava niente male col manzo (scusate lo dovevo dire, mi fa troppo ridere), e non solo.
Oltre a proporre un carpaccio di manzo essiccato servito su piatto caldo con sopra una noce di burro ai gamberi, ricetta che è diventata quasi l’icona di questo locale, non manca l’attenzione ai prodotti locali: nel piatto del giorno si ritrova quanto di meglio ha da offrire il mercato ittico di Charleston.
14) Keens, New York City.
Guardate la serie Mad Men? Se sì, avrete sicuramente posato gli occhi sull’ambiente raffinato e profondamente americano di questa steakhouse, che dal 1885 serve filetti, controfiletti, lombate e costate di manzo frollate e cotte in maniera magistrale.
Passare da New York senza mangiare al Keens è come andare ad Agra e non visitare il Taj Mahal. Scusate il volo pindarico.
Se poi ve ne innamorate a tal punto da ritornarci, da provare assolutamente è il Mutton Chop, che in realtà è sella d’agnello, la cui ricetta risale davvero ai primissimi anni di vita del Keens. Ultima curiosità: nelle sale di questo ristorante sono state raccolte ed esposte oltre 50.000 pipe, tra cui anche quella di Teddy Roosevelt.
13) Pappas Bros. Steakhouse, Dallas and Houston.
Con le poltroncine in pelle rossa, le pareti rivestite di legno e una carta dei vini che conta oltre 2000 referenze, Pappas Bros. Steakhouse rappresenta un pezzo di storia della ristorazione americana. La frollatura è da sempre eseguita “in casa”, e i tagli accontentano tutti: dal Porterhouse da 1kg abbondante, al filetto mignon. Cottura magistrale, sale, pepe e una noce di burro completano il quadro.
12) St. Elmo Steak House, Indianapolis.
Con un’esperienza ultracentenaria alle spalle, questo locale di Indianapolis conserva ancora tutta la sua atmosfera da Saloon d’inizio secolo, nonostante gli ammodernamenti degli anni ’90. E anche il menù non scherza: dai vari tipi di bistecca a taglio tradizionale, al cocktail di gamberi alla wedge salade a base di cavolo, tutto concorre a dare l’impressione che al St. Elmo il tempo si sia fermato…anche i camerieri, pare ce ne sia uno che lavora lì dal 1976!
Tuttavia, essere affezionati alla tradizione, non ha impedito al locale di tenere il passo: in carta sono indicate le referenze dei 17 produttori locali da cui il ristorante si rifornisce.
11) House of Prime Rib, San Francisco.
Il nome lo dice: qui ci si viene per la Prime Rib. Sul serio, nel menù quasi non c’è altro. Ma vale certamente la pena di provare questa steak che dal 1949 viene servita sempre nella stessa maniera: frollatura di 21 giorni per i tagli più “nervosi”, cottura in crosta di sale grosso e servizio al tavolo in cartoccio.
E siccome “cavallo che vince non si cambia”, anche se parliamo di manzo (facile ironia), anche sui contorni la scelta è limitata ma ottima: patate al forno o purè, spinaci in crema o Yorkshire pudding.
10) Barclay Prime, Philadelphia.
Questo ristorante si autodefinisce una “luxury boutique steakhouse“, e stando ai raffinati arredamenti anni ’60, tutti giocati su bianco, giallo e verde con motivi optical, sicuramente è così. L’eleganza degli ambienti è perfettamente compensata dal servizio, sempre impeccabile.
Ma se fin qui abbiamo descritto un ristorante moderno, e forse anche un po’ radical chic, in realtà il menù è un tributo alle steakhouse più veraci: frollatura a 28 giorni, tagli classici tra cui la costata di manzo fornita da Gachot & Gachot, che in molti sostengono essere la migliore della città.
9) Jess & Jim’s, Kansas City, Missouri.
Quando il blessing arriva da Calvin Trillin, che sulle pagine di Playboy è definito “one of the country’s best steakhouse”, il gioco è quasi fatto. Correva l’anno 1972, ma Jess&Jim onoravano Kansas City della loro presenza fin dal 1938.
Essere nati negli anni immediatamente successivi al New Deal deve aver avuto le sue conseguenze: pochi fronzoli, semplicità negli ambienti e nella proposta, che tuttora prevede carne, carne e ancora carne. Il menù è orgogliosamente de-stagionalizzato, il manzo è fornito da sempre dalla Sterling Silver di Wichita, tagliato a mano tutti i giorni, gli “sfridi” diventano poi degli hamburger eccezionali.
L’unico vezzo che si concede questo monumento degli anni ’30 è un tributo all’altrettanto iconica rivista nazionale: il Playboy Strip, controfiletto alto 2 pollici per 800gr di pura americanità.
8) Dickie Brennan’s Steakhouse, New Orleans.
Nel cuore del quartiere francese della città, con le sue sei sale seminterrate, il bar modaiolo e la giusta clubby music, questo ristorante è diventato ben presto il punto di riferimento per spendaccioni e parvenue. L’offerta gastronomica però è eccezionale: manzo certificato USDA (United States Department of Agriculture), attenzione ai prodotti locali e quel tocco di estro creolo che conferisce unicità al menù del Dickie Brennan’s.
Il filetto della casa è guarnito con ostriche fritte e salsa bernese, la costata di manzo è servita con gamberi alla brace sfumati nell’Abita beer, prodotta da una birreria artigianale di Abita Springs, e ad ogni piatto si possono aggiungere polpa di granchio o danablu (formaggio danese simile al Roquefort).
7) Gibsons Bar & Steakhouse, Chicago.
Quando si dice una steakhouse da manuale: divanetti in pelle rossa e pareti rivestite di legno, bistecche giganti, code di aragosta e martinis come se piovessero, compreso anche il cocktail che dà il nome al locale, con l’intramontabile cipollina sott’aceto.
Il menù non potrebbe essere dei più classici: wedge salad, insalata di astice piccante servito nel carciofo al vapore, tagli classici e anche piccole chicche davvero difficili da trovare, come il filetto dall’osso mignon. Nel sito web dicono che i jeans vanno bene, ma non fidatevi, il locale è un po’ più elegante.
6) Killen’s Steakhouse, Pearland, Texas.
Ronnie Killen, diplomato al Cordon Bleu, ha aperto questo locale subito fuori Houston nel 2006, e da allora ha raccolto solo allori. E’ uno dei pochi ristoranti che nel menù distingue i tagli con frollatura tradizionale, che negli USA è detta dry-aging, da quella sottovuoto, o wet-aging. I fornitori sono tutti eccellenti, dai texani Allen Brothers di Chicago allo Strube Ranch di Pittsburg.
La proposta gastronomica spazia anche su altre ricette: dalla lombata di pollo fritta, alla leggendaria black-eyed pea gumbo, zuppa di fagioli e riso integrale, tipica della cucina della Southern America. Occhio di riguardo anche per i dolci: nel 2008 Food&Wine Magazine ha inserito la crème brûlée di pane fatta da Killen tra i primi 10 piatti degli States.
5) Kevin Rathbun Steak, Atlanta.
Magari l’arredamento è un po’ kitch, e anche il menù a dirla tutta. Costolette di maiale alla coca-cola, parmigiana (o quasi) di melanzane, ahi tuna poke, ossia tartare di tonno all’hawaiana e chi più ne ha più ne metta. Ma questo ristorante, dello stesso proprietario di Rathbun’s and Krog Bar – due locali altrettanto ben avviati che sorgono sulla stessa strada del Kevin Rathbun Steak – è diventato famoso per la bistecca, e quella continua a essere memorabile. Soprattutto proposta nei suoi tagli classici: Porterhouse per due o tre persone,
Cowboy rib-eye da oltre 600gr, e New York strips da 500gr. Se vi state chiedendo che cavolo di tagli sono questi, è presto detto: la rib-eye è costata di manzo, la New York strip corrisponde alla short loin della figura in alto, mentre la Porterhouse sarebbe la NY strip più un pezzetto di tenderloin. Facile no?
4) Cattlemen’s Steakhouse, Oklahoma City.
Occhio a non confondere questo ristorante con l’omonimo texano, o con i mille altri locali che si chiamano così, sparsi in tutti gli States. Il Cattlemen’s Steakhouse di Oklahoma è un’istituzione che da più di 103 anni serve gli stessi tagli di carne, secondo un metodo di frollatura segreto, e le steak hanno il sapore della brace buona e dei loro succhi di cottura.
La parete di fondo del locale è una gigantografia di vacche al pascolo, il dress code prevede Stetson e stivali a punta, e se l’ex Presidente George H.W. Bush è in città, non si fa mai mancare una cena da Cattlemen. Ho detto tutto, credo.
3) Peter Luger, New York City.
Secondo molti la migliore bistecca in assoluto di tutta New York. Questa steakhouse sorge a Brooklyn’s Williamsburg, nel lontano 1887. Poche cose sono cambiate da allora: il menù quasi non esiste, i camerieri sono burberi e non si accettano carte di credito. Ma fa tutto parte dello spettacolo.
Con i suoi interni curiosi, stile vecchia Bavaria, e l’insalata di pomodori e cipolle a fare da antipasto a qualsiasi cosa, il Peter Luger di NYC è sempre strapieno di gente, a pranzo e a cena. Poi, c’è da dire che la Porterhouse* per tre (lo spiego dopo cos’è la porterhouse, giuro…) fa la sua porca figura.
2) Bern’s, Tampa, Florida.
Da Bern’s si viene per riempirsi occhi e pancia. Tempio barocco della bistecca, con il suo menù faraonico, il rischio è quasi quello di dimenticarsi di ordinare la blasonatissima steak.
Ci sono venti tipi di caviale diverso, due preparazioni di foie gras, due tipi di carne alla tartara (uno con tartufi), ostriche, infinite varietà di pesce e frutti di mare, 16 diversi formaggi, quasi 50 dolci nazionali e importati (tra cui alcuni senza glutine e senza zucchero, tzè…). Anzi, al piano superiore c’è una sala tutta dedicata ai dessert, con una lista dei vini di circa 7000 etichette.
Ah già, la bistecca: sette tipi di tagli diversi, oltre 50 pezzature, dal filetto mignon alla lombata di quasi 2kg, tutte rigorosamente alla griglia.
1) Cut, Beverly Hills, California.
Prima di parlare di CUT, occorre spendere due parole per descrivere la mente che sta dietro a questo ristorante californiano: Wolfgang Puck.
Costui, dopo aver inventato la pizza California Style da Spago, essere stato pionere della cucina asian fusion al Chinois on Main, e aver sviluppato la sua linea di punti vendita negli aeroporti, ha pensato che fosse ora di dare una botta di vita anche al classico concetto di steakhouse.
Ed ecco che nasce il CUT di Beverly Hills, primo di una serie – ce ne sono ora anche a Londra, Singapore, e Las Vegas – dove l’estro di Puck sembra arrivare a sintesi: 17 tagli diversi, carne scelta all’origine in base ad alti standard di qualità, dal filetto mignon australiano al controfiletto con l’osso dall’Illinois, per passare dalla vera costata di Wagyu giapponese.
Il menù comunque è ben bilanciato, oltre alla carne sono sempre presenti in carta anche la classica wedge salade arricchita di pesce spada alla griglia, e la lingua di vitello con carciofini, aragoste del Main e zabaione di tartufo nero.
[Crediti | Link e immagini: The Daily Meal]