Sembra che un numero crescente di donne abbia scelto di percorrere un’insolita ribellione: la casalinghitudine. Tra i trenta e i quaranta anni, colte, con una professione, decidono di trascorrere le loro giornate facendo torte, lavori a maglia, conserve, cupcake, giardinaggio (e naturalmente tenendo un blog su tutte queste attività).
E non sto parlando del fatto che la crisi economica ha lasciato letteralmente “a casa” un numero impressionante di persone, non solo. Succede in America dove a questo fenomeno, chiamato New Domesticy o, in via confidenziale, “femminismo cupcake”, la giornalista Emily Matchar ha dedicato un libro, Homeward Bound, e acceso un fervente dibattito.
Ma succede anche da noi, basta guardarsi attorno per vedere sempre più donne che abbracciano gli stessi lavori domestici che le nostre mamme hanno cercato di scrollarsi di dosso.
Hipster che lasciano il proprio precario lavoro nel mondo delle agenzie di comunicazione per vendere cestini di vimini porta vivande intrecciati a mano, avvocatesse che avviano attività di cake design nella loro cucina, senza contare quelle che si cuciono gli abiti e lavorano a maglia, fanno biscotti, pane artigianale da scambiare ai mercatini biologici, bigiotteria e borse all’uncinetto da vendere su Etsy, micro catering per le feste dei bambini, ricevono le amiche per un tè pomeridiano e avviano commerci alternativi di marmellate e conserve di pomodoro: donne convinte che questa scelta di vita esprima un femminismo moderno ed una femminilità autentica.
Del resto la mia generazione è cresciuta con aspettative troppo alte circa la vita lavorativa: le opzioni sono limitate, la frustrazione aumenta e questo improvviso fascino dell’attività casalinga, un po’ Martha Stewart, un po’ Csaba dalla Zorza, porta un numero crescente di insospettabili donne nate negli anni settanta (si, quando le nostre mamme ci insegnavano che l’emancipazione fosse fuori dalle mura domestiche, possibilmente lontano dalla cucina) a una nuova riflessione: i posti di lavoro non sempre sono così appaganti come ce li avevano prospettati, ce ne stiamo alla larga dalle ambizioni lavorative tipiche della generazioni dei nostri genitori, ma soprattutto quella parola tanto ambita “la gratificazione”, è come una specie di rigurgito…
Abbiamo capito che se vogliamo possiamo cercare di fare la vita degli uomini, ma in fondo non è così male dedicarsi ai lavori squisitamente femminili, se si tratta di libera scelta. Di sicuro un modello lontano mille miglia dall’immagine di donna-dea Kali, che deve barcamenarsi nel riuscire a fare tutto, uscendone mediamente insoddisfatta: il modello Parodi, per capirci, quella che deve fare una ricetta Salvacena in 7 minuti che ti stressa solo l’idea.
Le nuove femministe cupcake, che più che agli Angeli di Victoria Secret, si ispirano agli angeli del focolare, si aiutano con la tecnologia per cercare online ricette e rimanere in contatto con il resto del mondo dall’intimità della loro casa che presidiano amorevolmente, lasciano disilluse le loro carriere scegliendo uno stile di vita più autosufficiente, più lento, più sostenibile e più concentrato sulla casalinghitudine.
Retromarcia o femminismo postmoderno?
Vi lascio con la domanda che Angela Frenda ha posto su La27Ora:
E se avessimo sbagliato tutto? Se mentre cercavamo di sfondare il soffitto di cristallo (peraltro senza riuscirci) la soluzione era girare i tacchi e tornare a casa? Magari a cucinare, aprire un sito di crafting o una società di cupcake?
[Crediti | Link: La27esima Ora. Rielaborazione di un’immagine di Hipster Homemaker]