Il barbecue è un buon esempio di come l’uomo post-moderno senta ancora vivo l’istinto di schiaffare un bisteccone sul fuoco e guardarlo cuocere lentamente.
Oltre al valore evolutivo del gesto, sopravvive il corredo di usi e significati legati alla griglia, diversi da Paese a Paese. Cioè: negli Stati Uniti la religione del BBQ ha le sue regole, ma non meno seri e intransigenti sono in Brasile, Argentina o Corea.
Anche in Europa ci difendiamo, soprattutto da quando è intervenuta la World Barbecue Association a vegliare sui destini di migliaia di appassionati, nel tentativo di intaccare i domini delle superpotenze d’oltreoceano.
A questa tradizione c’è anche chi ha dedicato un’intera vita di studi: è il caso di Steven Raichlen, niente meno che borsista Fullbright e vincitore del premio James Beard, il quale ha dedicato alla storia globale del barbercue ben 25 volumi. Chapeau.
Partendo dalla sua top list dei 7 Paesi di più illuminata tradizione “grigliettara” (Indonesia, Giappone, India, Turchia, Argentina, Brasile e Serbia) allarghiamo il panorama ad altri territori, non meno “vocati”.
E in Italia? S’intende: al di là dei soliti (illustrissimi) noti, come bombette e arrosticini…
Indonesia.
In quest’area è la tradizione del satay a farla da padrone. A seconda della zona in cui ci si trova, lungo tutto l’arcipelago, sono centinaia le varianti riscontrabili: ad accomunarle il bastoncino su cui vengono infilati i vari pezzi di carne, che sono poi cotti in lunghi bracieri orizzontali.
Ad esempio, se ci si trova nella parte occidentale di Sumatra, sarà frequente imbattersi nel Sate Padang (sate è il nome della carne satay), spiedini di frattaglie di capra cotti prima nel brodo e poi grigliati. Invece nella parte musulmana di Java è popolare il Sate Kerbau, a base di carne di bufalo, condito con una salsa a base di latte di cocco.
Filippine.
Nelle “vicinanze” dell’Indonesia, la tradizione del maialino grigliato filippino non può venire esclusa da questo elenco. E’ il lechón, spiedo di maiale cotto con tutto il suo grasso fino a che la pelle non brunisce e diventa croccante.
Giappone.
Come accade spesso anche nel resto del mondo, la carne alla griglia giapponese prende il nome dallo strumento con cui viene cotta: l’hibachi. E’ la cucina tipica dei ristoranti yakitori, ma è anche il cibo più diffuso dei pic-nic estivi nella terra del Sol Levante, quando non è raro imbattersi in serissimi grill masters che con i tradizionali ventagli rigidi dipinti (uchiwa) fanno aria all’hibachi.
Una peculiarità di questo metodo è il tipo di carbonella: il chico tan, in grado di raggiungere temperature molto alte in tempi relativamente brevi. La cottura in questo modo è veloce, e consente di mantenere inalterato il sapore originario delle pietanze: dai noodles, alle “bistecche” di Kobe.
India.
La gastronomia indiana è famosa per le magnifiche cotture consentite dal tandoor, che secondo me è più un forno che un barbercue. A differenza della griglia giapponese, qui è tutta questione di spezie: ce ne sono almeno 12 nella ricetta tradizionale per il pollo tandoori, che prevede anche lo yogurt.
Turchia.
Non si può parlare di cucina turca senza citare lo shish kebab: spiedini di agnello serviti con riso e verdure. Lo shish kebab sembrerebbe derivare direttamente da un metodo di cottura di orgine arabo-ottomana, che nell’Europa dell’est e centrale prende il nome di mangal.
Il mangal, che indica ancora una volta sia lo strumento che il piatto, può essere a base di diversi tipi di carne, dall’agnello al maiale, a seconda della zona.
Serbia.
Nella regione balcanica la carne alla griglia si è ritagliata un posto d’onore: dai Pljeskavica ai Cevapcici, il metodo è quello tradizionale della griglia “en plein air”. In questi piatti è fondamentale la preparazione delle carni, nel caso dei Pljeskavica si tratta di un misto di agnello, manzo e maiale, macinati e impastati con cipolle.
I Cevapcici invece sono riconoscibili dalla tradizionale forma a salsiccia, sempre a base di cipolle e carni macinate, in genere accompagnati da pane bianco e salsa di peperoni rossi.
Sud America: Argentina e Brasile.
L’Argentina va fiera della sua carne di manzo, e giustamente direi. Tanto da farne un piatto nazionale, soprattutto nella versione alla griglia, che qui prende il nome di asado. Conosciuta e diffusa anche in Uruguay, Paraguay e Cile, l’asado è la versione “spartana” del barbecue a legna naturale.
Invece quando prevede l’utilizzo di una griglia “a gabbia” viene chiamata parilla. Nella tradizione argentina la carne non é marinata prima, ma semplicemente salata durante la cottura. Prima vengono servite interiora e frattaglie e in chiusura i quarti più nobili.
In Brasile la griglia è conosciuta come churrasco. Diversi i tagli impiegati, il più famoso (e gustoso) dei quali è il picanhaa, controfiletto cotto con il suo grasso e poi tagliato molto sottile.
Sud Africa.
Ci sono alcune caratteristiche che fanno assomigliare il braai sudafricano (termine che deriva dall’afrikaans) al barbecue statunitense. Innanzitutto la serietà con cui si affronta la questione: c’è una Giornata Nazionale del Braai, il 24 settembre, e c’è il ruolo sociale del braaier, che in genere è molto rispettato.
Infine: la convinzione che il weber grill, ossia l’equipaggiamento standard per ogni braaier provetto, sia un’invenzione nazionale. A parte questo: i tagli e le carni impiegate sono diverse, dal manzo al pollo, dalle tradizionali boerewors (particolari tipi di salsicce) al kebab di montone.
Mongolia.
La carne ha sempre giocato un ruolo molto importante nella tradizione gastronomica mongola, come spesso accade per i popoli nomadi che occupano territori aspri e difficili da coltivare. Esemplare in questo senso è l’esperienza del Khorkhog, pasto tradizionale riservato agli ospiti di un certo riguardo, a base di carne di agnello o capra.
Prevede il pre-riscaldamento di pietre che poi vengono messe in una pentola insieme alla carne. La carne é tagliata in pezzi abbastanza piccoli da poter essere consumati direttamente, senza posate. Pare che sia di buon auspicio per l’ospite conservare almeno una delle pietre con cui è stata cotta la carne.
Corea.
Più famosa all’estero che in patria, la carne alla griglia coreana è diventata un vero e proprio simbolo della cucina di questo Paese, soprattutto negli States. In particolare il manzo marinato con salsa di soia (galbi) e poi tagliato a strisce sottili (bulgogi) rende benissimo nello speciale metodo di cottura che si è diffuso a Seul e non solo: nei ristoranti specializzati in questi tipi di preparazione, i tavoli sono dotati di una griglia a carbone singola, in cui il cliente cucina a proprio piacimento il suo bulgogi.
Non basta, i coreani si sono organizzati proprio bene: il ristorante fornisce anche un sacco porta giacca, per proteggere i soprabiti dalla puzza di carbonella. Geniali.
NB: In Italia questo tipo di ristoranti non è molto diffuso. Però l’esperienza di cucinare il proprio pasto è carina… io ho provato un ristorante a Firenze, il Kome (che però è giapponese! Infatti viene chiamata cucina yakiniku), in cui il piano superiore è attrezzato di tavoli con la griglia centrale.
Cina.
La Cina è grande, parecchio. Perciò è abbastanza ovvio che da una parte all’altra del Paese si trovino tradizioni legate alla carne alla griglia anche molto diverse tra loro. In particolare si distingue tra due metodi di cottura: nel nord il chuanr, originario della provincia dello Xinjiang, invece nella zona Cantonese è diffuso il char siu, che è anche il più conosciuto al di fuori dei confini nazionali.
La carne alla base del chuanr in genere è l’agnello, e il sapore che lo caratterizza è l’aromatizzazione al cumino. Mentre il char siu, quando non è servito nei ristoranti dove perde tutto il suo fascino, prevede che ognuno dei commensali si cucini la carne sui lunghi forchettoni da cui il piatto prende il nome (letteralmente significa “forchetta arrosto”), dopo una marinatura nel miele.
Australia.
Anche in questa parte di mondo la carne è ottima. Inoltre: grandi spazi consentono grandi barbecue! Non stupisce dunque che negli anni gli australiani si siano attrezzati di griglie “pubbliche”, soprattutto lungo le magnifiche coste, dove tra una surfata e l’altra si godono le leggendarie sausages sizzle.
Stati Uniti.
Si, li ho tenuti per ultimi. Un po’ per gioco e un po’ anche per imbarazzo: come si fa a descrivere una pratica alimentare che assurge a connotato antropologico? Dalle costolette di maiale della Carolina al montone del Kentucky, è davvero arduo trovare un luogo negli Stati Uniti dove barbecue (parola che deriva da un metodo di cottura caraibico) significhi qualcosa di diverso da: birra, amici, e tanta tanta carne.
La carne, appunto dei più vari tipi, non viene marinata prima. In compenso, c’è una varietà innumerabile di salse con cui condirla dopo cottura. Particolarmente rilevante ai fini organolettici è il legno usato per la carbonella: in Texas il vero BBQ si fa con il legno di mesquite, mentre in altre zone sono più reperibili il noce o la quercia.
Ah…se c’è un giorno in cui non si può non fare il barbecue, quel giorno è il 4 luglio: il leggendario Indipendence Independence Day. Non so perché, ma tutte le volte che ci penso mi torna in mente la puntata dei Simpson in cui Liza fa volare il maialino…
[Crediti | Link: World Barbecue Association, Steven Raichlen. Immagini: Saveur, Matador Network, Flickr/Sam Weller, Flickr/SeattleRachel, Flickr/Darren O’Brien]