A Ovest è arancina, a Est arancino. West Coast ed East Coast della Sicilia si giocano la paternità degli arancini a colpi di reperti storici e schizzi di ragù.
Secondo il dizionario Siciliano-Italiano di Giuseppe Biundi del 1857, il nome viene da arancinu, che è innegabilmente masculazzu. Il commissario Montalbano ha sdoganato il maschile orientale (sebbene Camilleri sia dell’agrigentino, zona d’influenza palermitana), la Treccani rincara la dose attestandolo con la O finale e venti di rivolta spirano da Ovest.[related_posts]
Il riso è padrone della ricetta ma non mancano varianti fantasiose, ad esempio con i bucatini (a Caltanissetta e si chiama arancina). Il ripieno classico è il ragù ma le varianti sono infinite: qualsiasi farcitura salata va bene e io ne ho cucinata anche una versione fusion-trentina con Puzzone di Moena e speck con panatura di farina di polenta di tutto rispetto.
Da siciliano che ha vissuto a contatto con entrambe le varianti onomastiche, molto pilatescamente mi esonero dalla diatriba linguistica e indico la pietanza con un neutro Arancìn, che mi suona anche più ganzo.
Ma che sia di forma sferica o piramidale – le due coste s’azzuffano anche sulla geometria solida – ci sono sei accorgimenti su cui urge la massima attenzione:
SCELTA DEL RISO
Originario über alles. Chicco piccolo e colloso perfetto per l’uso, va solo tenuta d’occhio la cottura pre-frittura per non renderlo poltiglia: si scola bene al dente.
Astenersi sostenitori del riso venere, l’arancìn nero fa sicuramente colpo con gli amici, ma i chicchi non s’attaccheranno mai e poi mai neanche con la Vinavyl. È l’amido che fa La Maggìa!
COTTURA DEL RISO
Davanti al fornello c’è il consueto bivio: lessare il riso o fare il risotto? Ok, l’originario non è un campione nella seconda variante, ma il sapore complessivo, soprattutto se si usa un buon brodo di carne, manda il palato in solluccheri.
Per esperienza personale, se si è alle prese con 3 kg di riso, meglio lessarlo, che è la via più breve, e lasciarlo raffreddare. Ma col risotto, oh mamma col risotto cosa viene fuori!
ZAFFERANO Sì O ZAFFERANO NO?
Immancabili le differenze tra Occidente e Oriente di Sicilia anche sull’uso della pregiata spezia.
A Palermo lo zafferano è latitante e le arancine sono bianche, a Catania l’uso è consentito e il giallo si vede ma non è regola fissa. Metterlo o non metterlo? Ah, qui la scelta è intima.
APPALLOTTOLARE CON MANI UMIDE
Un trucchetto, poi neanche tanto segreto, è quello di tenere una ciotola con acqua fredda accanto mentre si formano le palle di riso (che poi vanno scavate con l’indice per creare la conca per il ripieno).
Tenere le mani umide – non zuppe – evita che i chicchi s’incollino a dita e palmi. Chi fa il sushi a casa lo sa già.
IL RIPIENO: RAGÚ & FRIENDS
L’arancìn tradizionale a Catania si fa con pezzi di carne nel sugo, quasi uno spezzatino, a Palermo con il trito. In ambo i casi il tripudio papillare è garantito.
Io faccio un tradizionale ragù col macinato che passo poi alla chinoise per tenerlo asciutto: un sugo troppo liquido inumidisce troppo l’arancìn all’interno, che rischia di sfaldarsi. Col sugo che avanza ci faccio gli spaghetti.
Altra variante comune è quella “al burro” ovvero besciamella condita con prosciutto e piselli o funghi, ma i ripieni possono essere di mille tipi, vi sparo qualche consiglio: nero di seppia e guanciale; fiori di zucca e ricotta; gamberi e asparagi (magari con una vellutata densa fatta con un brodo di pesce al posto del latte); funghi e gorgonzola. E via da qui all’infinito.
PANATURA & FRITTURA
A ogni morso l’arancìn deve decretare la sua croccante supremazia, per questo la corazza che lo riveste dev’essere granitica e lussuosa. La farina di grano duro è preferita a quella di grano tenero, poi il procedimento è lo stesso di ogni doppia panatura: uovo sbattuto e pangrattato (pardon, mollica).
E, ok, noi del Mediterraneo ci vantiamo della bontà dell’olio d’oliva ma non fatelo: friggete con olio d’arachidi, per cortesia.