Ho visto “Dentro la carne, l’inchiesta choc sugli allevamenti intensivi” di Anno Uno sul sito di La7. Ho anche letto sul Corriere del video girato dagli animalisti di Animal Equality, secondo cui gli allevamenti intensivi di maiali in Italia sono lager. Anno Uno me la sono guardata tutta dopo aver incrociato il trafiletto di Aldo Grasso sul Corriere della Sera, che ha descritto il programma di Michele Santoro condotto da Giulia Innocenzi come il più brutto che avesse visto negli ultimi tempi.
E se per il critico televisivo il programma è brutto perché gli ospiti chiamati a commentare non sapevano assolutamente nulla del tema, ciò che indigna me che ogni giorno vedo, e parlo, da tirocinante alla ASL, con proprietari di aziende alimentari che arrivano a stento a fine mese e faticano a pagare i ragazzi che lavorano nelle loro imprese, è la disinformazione che si fa.
Colpendo alle spalle uno dei nostri fiori all’occhiello. Banalizzando. Prendendo ad esempio due allevatori (passatemi il termine) stronzi che sono stronzi con gli animali e che hanno trovato il modo di eludere i controlli sul benessere. Perché si, si possono eludere, ma non ha senso (se non nell’immediato). Vediamo perché.
Partiamo proprio dal filmato sugli allevamenti di suini che tanto ha fatto discutere. Le cose non funzionano così. [related_posts]
Per un allevatore, l’allevamento è l’unica fonte di reddito, per lui e per la famiglia che deve mantenere. Se ci sono delle normative le rispetta, perché certo, oggi le eludi e non ti scoprono, domani nemmeno, dopodomani nemmeno, ma il giorno dopo? Ad un certo punto finisce, perché non è che proprio li puoi nascondere tutti i maiali che hai in azienda. E se chiudi, minimo, perdi la casa.
Inoltre allevare un animale è un investimento per chi alleva. Pensiamo alle scrofe malate, che non vengono curate. Ha senso non farlo?
Una scrofa del genere, anche se è al primo parto, sarà vissuta almeno due anni per raggiungere un peso tale da portare avanti la gravidanza. In questo tempo la scrofa ha mangiato, non è che campa d’aria. E il mangime costa, per cui per due anni un allevatore ha speso soldi per allevare una scrofa che poi lascia morire così, senza nemmeno provare a curarla e, soprattutto, facendo morire i suinetti che poi sono lo scopo per cui l’allevatore ha allevato la scrofa?
Non funziona così, e non funziona così nemmeno per i maiali all’ingrasso. Avete mai avuto un periodo stressante nella vostra vita? Probabilmente, a causa dello stress, siete dimagriti, e lo stesso succede al maiale. Se il maiale sta male, non mangia, e dimagrisce. Che è proprio il contrario di quello che l’allevatore vuole, perché il suo guadagno va in base al peso del maiale stesso.
E il puzzo? Beh, son maiali, e per il loro modo di comportarsi, hanno un rapporto molto diverso dal nostro con la cacca. Hanno comportamenti tipici della loro specie, si rotolano nelle feci, un po’ come i cani si annusano il sedere e i conigli si mangiano la propria cacca. Impedirglielo li farebbe solo stare male.
Questo non significa che gli allevamenti mostrati fossero a norma (anzi, pensiamo ai top, alle dimensioni delle gabbie, ai liquamii) ma significa che non tutti sono così, e se quelli “buoni” lasciano i maiali in una certa situazione lo fanno perché un motivo c’è.
Anche perché non sono soggetti solo ai controlli delle ASL, ma anche a quelli dei consorzi, come il Prosciutto di Parma. Se il consorzio toglie il marchio (e lo toglie se c’è qualcosa che non va, per non infangare il nome di tutti gli allevatori associati) il prezzo del tuo prosciutto precipita. Andate a vedere la differenza di prezzo di un prosciutto DOP, come il Parma, e il “prosciutto nostrano” al supermercato. Vi renderete conto del mancato guadagno di chi non rispetta gli animali.
Ma veniamo alla discussione seguita al filmato choc, protagonisti gli animalisti.
I ragazzi animalisti, superiori in numero agli altri, non hanno fatto altro che criticare tutto ciò che veniva detto dagli altri.
Partono dal presupposto che un cavallo non beve se non ha l’acqua (ma nel filmato il cavallo stava brucando l’erba fresca, notoriamente composta dall’80% di acqua, per cui in una situazione del genere non ha bisogno di bere); denunciano il contadino che ha due animali per sé e che li uccide per mangiarli (senza sapere che la normativa, se gli animali si macellano per uso domestico, fa riferimento ad un Regio Decreto italiano del 1931 che esonera, di fatto, queste persone da qualsiasi controllo sanitario); entrano dei McDonalds e danno dell’assassino a chiunque stia mangiando, urlandogli nelle orecchie e invitandoli ad andare nelle oasi vegane dove gli animali chiaramente vengono “infiocchettati”, con una buona dose di propaganda, in modo da sostenere la causa di queste persone.
Meno male, come scrive Grasso, che almeno una persona che sa di cosa si parla in studio c’era, Sergio Capaldo, unico che poteva dire due parole (e che è stato ripetutamente interrotto) forte del suo lavoro di veterinario e di collaboratore di Slow Food.
Eh si, perché se una persona si vuole informare, già sappiamo che la televisione non è un granché, ma quando si raggiungono questi picchi di propaganda volutamente spostata da una parte, dove la conduttrice del programma esordisce con “che puzza” all’entrata di un allevamento di suini a testimoniare la sua grande esperienza di allevamento animale (ho avuto occasione di lavorare in un allevamento biologico di cinte senesi che vivevano in libertà, e il puzzo c’era anche lì, eccome… Ribadisco, sono maiali) non si chiama fare informazione.
Si chiama fare propaganda mettendo in cattiva luce un’intera categoria di persone oneste che si guadagnano il pane, ma non mostrandole e preferendo mostrare i due delinquenti degli allevamenti in questione.
Se qualche azienda fosse interessata a mostrare come si allevano davvero dei suini in allevamento intensivo e mostrare come i suini stanno bene per tutta la vita e non si rendono nemmeno conto del momento della loro morte (vengono storditi con l’elettricità, non se ne accorgono nemmeno) noi siamo qui.
[Crediti | Link: AnnoUno/La7, Corriere]