Langone fa rima con provocazione, e lo scrittore Camillo Langone ieri su Il Foglio (non online) ha sfornato l’ennesima (riuscitissima) urticante rintuzzata a tutti i finti perbenisti della tavola, ossia a quelli che non guardano in faccia la propria responsabilità di mangiatori di carne.
Nel pezzo, lungo e articolato tanto da giustificare deviazioni nazional-edonistiche, si cavalca la provocazione dell’apertura di una scuola di macellazione domestica, della quale ovviamente il nostro eroe sarebbe il fondatore nonché il direttore.
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Per farvi un sunto (ma il consiglio è quello di leggere l’articolo per intero, se avete lo stomaco forte) Langone disquisisce sulla necessità di liberarci una volta per tutte dalle zavorre morali e culinarie legate a veganesimo e animalismo.
Chi mangia un pollo (no, meglio se seguiamo le indicazioni dell’autore e usiamo l’esempio del coniglio che ha gli occhi più dolci e con il quale siamo entrati in empatia più profonda) dovrebbe avere anche il coraggio e la coerenza di uccidere a mani nude la sua preda.
Tipo Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, che per un breve periodo ha mangiato solo animali ammazzati con le sue mani. Nel testo seguono lucide e tecniche dissertazioni su pratiche tipo “colpi secchi alla nuca”.
Vale la pena estrapolare qualche passaggio, per capirci meglio:
“Mi è capitato un allevatore che porta tutte le sue oche al macello, anche quelle destinate al consumo famigliare che sarebbero legalmente macellabili in casa, perché non se la sente. “Sono allevatore ma ho un cuore” dice.
Come se delegare ad altri fosse un’attenuante e non, invece, un’aggravante pilatesca. La responsabilità vuole il faccia a faccia, ho letto da qualche parte, e se non sei capace di guardare negli occhi un’oca non ti meriti di mangiarla, ti meriti il tofu.”
C’è altro: “[…] molti mi dicono che troverebbero il coraggio di uccidere un animale solo in guerra o durante una carestia, qualora diventi questione di vita o di morte.
Come se non fosse già ora una questione di vita o di morte, nessuno li ha avvisati che già ora siamo sottomessi al dio Cane, che già ora gli animalisti hanno preso il comando e ribaltato priorità e gerarchie imponendo una legge che limita la sperimentazione animale. Oggi in Italia se un ricercatore tocca il Sacro Beagle rischia la galera.”
Tematiche gastronomiche si mescolano di continuo con quelle etiche, ma in realtà si va anche oltre la morale, si tocca la metafisica.
Viaggiando tra le righe del superomismo langoniano ci si eleva dai confini del contingente e si arriva a parlare di uomini che perdono giorno dopo giorno le proporzioni della loro superiorità sull’animale, il loro status non tanto predatorio, ma piuttosto semplicemente inferiore.
Ordunque mi sento tirata in causa, ma credo di essere in buona (e folta) compagnia.
Sono carnivora, ben cosciente dei miei limiti etici e dei miei tratti bipolari: mangio carne, ma cerco di limitarmi. Amo la Chianina nel piatto, ma mi è venuto un po’ da piangere quando le ho viste in stalla con quegli occhioni languidi.
Non posso fare a ameno di ordinare la tartare se la leggo nel menu, ma mi sento la coscienza più a posto se so che la mucca me l’hanno trattata bene durante la sua permanenza in terra.
Lo so bene che poi la uccidono per metterla sul mio piatto, questo non significa che debba ricavare piacere dalla sua morte, e tantomeno pensare che se lo merita perché meno dotata di senno. Piuttosto, credo che il mio sia un vizio, di quelli che sai che sono sbagliati, ma non ti impegni per cambiare.
In teoria mi manca il coraggio, la volontà. In pratica mi piace e non voglio rinunciarci.
Insomma, non me ne vanto, ma lo dichiaro: sono un’inguaribile incoerente. Mangio carne, ma mi dispiace. Mi piace, ma vorrei saperci rinunciare.
E per rispondere alla questione della confusione/fusione tra uomo e animale, a volte trovo il mio cane mediamente più intelligente di alcuni laureati, non so se sia questione di empatia esagerata col genere animale, ma è così.
(Devo ricordarmi che è solo una provocazione, devo ricordarmi che anche Langone non uccide a mani nude i conigli, ma se ne va buono buono al supermercato a comprarne uno già scuoiato. Devo ricordarmi che…)
“Alla scuola non necessariamente faremo pratica con polli ruspanti: difficili da trovare, costosi da comprare, diretti da masticare…
So bene che senza allevamenti intensivi la carne ritornerebbe a essere un privilegio per ricchi, o l’eccezione delle grandi feste. E la Scuola di Realtà vuole formare un’aristocrazia spirituale, non di censo.”
Stoccata finale per istigare anche quelli che fino a qui erano d’accordo con la penna più carnivora che c’è. Insomma, mangiamoli e trattiamoli anche male. Io sono incoerente, è certificato. Ma Langone, con la scusa che fa rima con provocazione…
[Crediti | Il Foglio, link: Dissapore]