Forse non è la prima cosa cui pensate quando mangiate un pizza fumante o una bella pagnotta, ma il miglior amico della panificazione è ancora oggi il glutine, una sostanza proteica che si forma dall’unione di due proteine, la gliadina e la glutenina, contenute in alcune farine, fra cui il grano.
Il miracolo della panificazione è dovuto anche a questo nostro amico, che crea una maglia nell’impasto donando elasticità e consistenza a pizze, panini, grissini, focacce a molte altre leccornie dell’arte bianca.
Eppure il glutine sta subendo negli ultimi anni una campagna d’odio che supera la soglia del ridicolo, con il sorgere di prepotenza di un mercato di alimenti “senza glutine”, i cui ingredienti sono solitamente farine prive delle suddette proteine, ma cui si aggiungono in alcuni casi anche diverse cucchiaiate di ignoranza e moda.
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Se infatti il glutine è il principale responsabile di malattie come celiachia (se un celiaco mangia alimenti che contengono glutine, la proteina demolirà lentamente il suo intestino) c’è una buona fetta di pubblico che ha deciso di dedicarsi ad una dieta priva di glutine spinta dalle mode o da errate convinzioni alimentari.
Magari da una presunta malattia come la “ipersensibilità allergica”, che nessuno sa di preciso cosa sia ma sarebbe dimostrabile soltanto smettendo di mangiare il glutine valutando gli effetti.
Vi sarà capitato di sentire un conoscente o un amico dire ad esempio “ieri ho mangiato un panino con fagioli, cipolle, crauti, peperoni, salsiccia, cavolfiori, aglio e peperoncini habanero… ah… la pancia mi ha rimescolato tutto il giorno e ho avuto problemi intestinali. Tutta colpa del pane”.
Certo. come no. Il pane. Tutta colpa sua.
Stendiamo un velo glutinoso su tutto ciò, ma la moda ormai ha preso piede: là fuori, fuori della maglia glutinica, pullula di gente che pensa al glutine come ad un veleno naturale, pronto ad insinuarsi nel nostro intestino e a pugnalarci dal di dentro.
Questo stuolo di panificatori mancati ha anche il sostegno da personalità di un certo livello (mediatico), come Jennifer Aniston, Victoria Beckam, Novak Djokovic, Miley Cyrus, soprattutto Gwyneth Paltrow che seguono ormai una dieta priva di glutine, sfoderando consigli e libri di ricette.
Persino Benedetta Parodi presenta regolarmente ricette gluten free. Mentre in un episodio di South Park tutta la città smetteva di mangiare glutine. Uno stato di cose che ha spinto il New York Times a scrivere l’anno scorso: “Mangiare senza glutine è ormai a titolo definitivo una tendenza per i ricchi, i bianchi specie di sinistra”.
Alcuni sono convinti che il glutine faccia anche ingrassare, affermazione che appare quantomeno errata trattandosi di un complesso proteico; e via a mangiarsi cibi senza glutine, magari puntando tutto su cereali privi della sostanza (quinoa, amaranto, miglio) o – ancora peggio – realizzati con impasti iper-calorici e iperzuccherosi; meglio il diabete del glutine, giusto?
Una situazione che svilisce lo status di coloro che sono davvero malati e non possono realmente mangiare alimenti con glutine, che ora vengono trattati alla stregua dei cosiddetti “noglu”, termine che a me fa venire in mente l’onomatopeico “glu glu glu glu”, nel senso che se le bevono tutte, le fesserie.
Chi è sano e non ha alcuna intolleranza al glutine, non trarrà alcun vantaggio dalla sua eliminazione, se non quello risultante dal solito effetto placebo. Ma vaglielo a spiegare…
D’altra parte, a parte i prezzi abominevoli, per i celiaci le cose vanno meglio: mentre fino a qualche anno fa trovare prodotti o locali con alimenti privi di glutine era un’impresa impossibile, ora inizia davvero a non esserci che l’imbarazzo della scelta, fra farmacie, grandi magazzini e botteghe che propugnano il gluten-free per accaparrarsi una porzione di un mercato in esplosione, dove la clientela da mungere è sempre in aumento.
Se dal 2004 al 2007 questo mercato era cresciuto in Italia solo del 5.9 per cento, fra il 2007 e il 2011 è esploso del 57 per cento; nel solo 2013 la presenza degli alimenti senza glutine (molto più costosi delle controparti glutinose) nei supermercati è aumentata del 17 per cento, mentre nell’ultimo anno la crescita è stata del 27 per cento.
Gli Italiani paiono essere particolarmente sfortunati: nel paese della pasta e della pizza i celiaci sono circa l’1 per cento della popolazione (parte della popolazione potrebbe esserlo senza saperlo); è la percentuale più alta al mondo e dal 2007 al 2013 si contano in media 10.000 nuove diagnosi ogni anno.
Così, sospeso fra malattie e mode, il volume d’affari degli alimenti senza glutine ha raggiunto solo in Italia un cifra di circa 250 milioni di euro.
Da nemico pubblico numero uno per i celiaci e per chi ha deciso di sostituirlo al babau nell’armadio, il glutine è diventato il miglior amico non più solo della panificazione ma anche delle aziende che si stanno buttando a capofitto in questo nuovo business, e che non hanno nessuna intenzione di fare chiarezza sulle questioni strettamente nutrizionali.
Almeno non finché continueranno a guadagnarci alla grande, alleggerendo non solo l’intestino dei consumatori ma soprattutto il loro portafoglio.
Per tacere degli scrittori di libri di ricette.
[Credtiti | Link: Dissapore, Guardian, Corriere, Wired, New York Times, immagini: Giardian]