Tutti i gestori di locali confermano una singolare verità: è molto comune avere tra i clienti abituali uomini che frequentano lo stesso ristorante sia con la moglie che con l’amante. Cambiano le sere (una il sabato, l’altra il giovedì – giorno, si sa, deputato al calcio a 8), cambia l’impegno economico (con l’ufficiale beve Friulano, con l’Altra Dom Pérignon), ma non il posto.
Ci sarebbe da stupirsi, non fosse che essere habitué di un locale è una meraviglia: entrarci è un po’ come tornare a casa – tranne che non ti devi fare da sola il Bloody Mary. Scambi un cenno di saluto e quattro parole con tutti, se dimentichi l’ombrello te lo custodiscono gelosamente, se dimentichi invece il tuo indirizzo di casa loro lo sanno, e lo comunicano al tassista.
Insomma: a parte i raptus nuovisti di quando apre un posto nuovo, e io corro a provarlo come se avessi il diavolo alle calcagna, a Milano vado un po’ sempre negli stessi locali, a seconda dell’umore del momento. Alcuni li ho già elencati, questi sono invece i miei preferiti degli ultimi mesi.
La Cieca Enoteca (via Carlo Vittadini 6, Milano).
Momento ideale: soprattutto all’inizio della settimana, all’ora dell’aperitivo o dopo cena.
Alla Cieca, enotechina in zona Bocconi, c’è una piccola carta di bottiglie in mescita che cambia di frequente: vini di artigiani, molti naturali, una selezione sanamente francofila (al calice, dai 4€ ai 10€). Ogni giorno, poi, ci sono dai tre ai cinque vini serviti “alla cieca”: solo il prezzo è noto. Il vino è versato, da bottiglie coperte, direttamente in bicchieri neri: chi indovina vitigno e/o zona di provenienza non paga il bicchiere. Chi indovina il vino, produttore e tutto, se ne porta a casa una bottiglia. Gli avventori abituali hanno diritto al loro calice personale, con tanto di nome scritto con il pennarello, in puro stile festa della medie.
Io non indovino mai niente, ma amo il gioco – che peraltro, come tutti i giochi, conduce a farsi nuovi amici. Un po’ come il Trivial Pursuit (tranne che a quello mi faccio sempre dei nemici).
Osaka (Corso Garibaldi, 68)
Momento ideale: la domenica a pranzo.
Osaka è uno dei ristoranti giapponesi storici di Milano. Infilato in una galleria in zona Moscova, ha l’aspetto anonimo di un ristorante di hotel 3 stelle. Da sempre considerato tra i migliori della città, è molto frequentato dalla comunità giapponese locale. Per la sera, lo trovo un po’ caro e un po’ carente di atmosfera, così gli preferisco Iyo, Wicky’s o Sumire, ma è perfetto per il pranzo della domenica: i menu del mezzogiorno, dai prezzi molto ragionevoli, sono disponibili anche nel fine settimana.
C’è un ottimo menu sushi misto a 20€, ma il vostro hangover vi ringrazierà se opterete per il menu ramen (tagliatelle in brodo di carne e miso), che include anche una porzione di gyoza (ravioli arrosto), da 12€ a 15€.
Un posto a Milano (via privata Cuccagna, 2)
Momento ideale: la sera nei giorni infrasettimanali. D’estate.
Di Un posto a Milano parlammo all’epoca della sua apertura. Nell’anno e mezzo trascorso da allora, questo ristorante aperto tutto il giorno, tutti i giorni (agosto incluso!) è diventato uno dei preferiti dei milanesi. Merito del meraviglioso giardino, della cucina rassicurante e curata dello chef Nicola Cavallaro, dei prezzi (ordinando 3 portate si arriva a fatica a 30€) e dell’attitudine, oh-così-poco-milanese, del locale tutto-friendly: sono benvenuti cani, bambini, neonati (per i quali c’è sempre una pappa in menu), gruppi di amici, giocatori di Scarabeo compulsivi (quella sarei io).
Io ci porto gli appassionati di cibo come gli agnostici: ne usciamo sempre contenti.
Rebelot (Ripa di Porta Ticinese, 55)
Momento ideale: la sera nei giorni infrasettimanali.
Il Rebelot è, in teoria, il bistrot del Pont de Ferr, che propone una delle cucine più eclettiche e creative della città. Ma già oggi il secondo nato rivaleggia, per piacevolezza e ambizione, con il fratello maggiore. Qui si mangiano piccoli piatti (o tapas, se vi piace di più) splendidamente congegnati, creativi senza richiedere concentrazione (sarebbe a dire: sono buoni) e bellissimi. Lo chef, il brasiliano Mauricio Zillo, ha vero talento: quando ho velleità da futurologa (nel settore del giornalismo gastronomico ci annoiamo se non guardiamo nella palla di cristallo) (la palla di cristallo sta nel nostro ombelico, un altro posto dove guardiamo molto) mi piace sostenere che sia destinato a grandi cose.
Saziarsi richiede alcuni piattini, almeno 4 o 5, quindi si spendono circa 40€. Ma la formula è molto elastica, e nulla vieta di fermarsi solo per un cocktail e un paio di assaggi.
5. Pravda (via Vittadini, 6) (sì, di nuovo)
Momento ideale: la sera tardi (dopo le 23), nei giorni infrasettimanali. Attenzione: nel weekend sarete i più vecchi anche se avete 19 anni.
Vedi alla voce: bicchiere della staffa. Il Pravda è un altro mini-locale, che conta sull’ampio marciapiede – condiviso con La Cieca – per ospitare i clienti. Come il nome suggerisce, è un vodka bar con un’ampia selezione di etichette. Il barista Frog (a Milano va così: la consacrazione dei baristi sta nel nomignolo. Chiedetelo a Tucci dell’Atomic Bar, ora al Noodle Bar di Al Mercato) è uno di quelli a cui descrivi il tuo stato d’animo e lui ti fa il cocktail corrispondente – una cosa da non fare mai e poi mai dal parrucchiere.
[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Vittorio Bertani, Fngmagazine, S’notes, Milanoize]