Le castagne, un profumo che non dimentico, rumori e insieme parole, poi ancora dita bruciacchiate e storie davanti al camino. I miei nonni, caldarroste sbucciate in silenzio, mosto da berci insieme anche a 10 anni, ché tanto è dolce. Le castagne mi fanno subito infanzia felice come il pane con il pomodoro e lo zabaione.
Ai mille milioni di modi cui si prestano per essere cucinate si affiancano altrettanti modi di definirle. Varianti fantasiose di dire castagna, ma anche nomi per distinguerle a seconda della cottura.
Le mille e una caldarrosta.
Callarosta intorno a Viterbo, Frugiata dalle parti di Bologna, Mondina in Versilia, Bruciata tra Firenze e Siena, Biröll dalle parti di Milano e Como, Boröla a Bergamo, Brusè a Parma, Rustìa in alcune zone della Provincia di Genova, Riggiola o Nserta a nord di Cosenza, Ruselle a sud della Provincia di Cosenza, Mundaj o Brüsatè in Piemonte e via così di caldarrosta in caldarrosta. Il procedimento almeno è uguale per tutti?
La caldarrosta secondo me (prima di Milano).
Le sere “a veglia” quelle lì che non esistono più, con veglia vagabonda e libera fino alla voce di uno a caso che si lascia sfuggire nell’aria “cuociamo le castagne?” come fosse l’idea del secolo, come se non si facesse tutte le sere d’autunno, o quasi. Tra le 22 e le 23, quando le persone normali, quelle che cenano alle 20 con la sigla del tg1, hanno voglia di qualcosa di buono, uno sfizio prima di andare a dormire. Le castagne, raccolte qualche giorno prima, lasciate stese ad asciugare, castrate (incise) in gruppo e danzanti sulla padella coi buchi.
Mio nonno per dire ne produceva una ogni anno, il manico era lungo a seconda del caminetto di destinazione, un professionista serio lui. Non si spostava neanche davanti al fuoco, viso rosso, bestemmie e imprecazioni allo scoppiettare di qualche castagna balorda. Venti minuti al massimo e una scodella di plastica con uno strofinaccio all’interno, le aveva già raccolte e chiuse per tenerle in caldo. Una pressata con le mani (roba da maschio dominante) lo scricchiolio di buccia infranta, poi le dita bruciacchiate e nere che pelano di corsa le castagne. Il profumo dolce e acre, la soddisfazione di sbucciare in un solo gesto, ché bisogna essere dei professionisti per saperlo fare o dei nonni anche.
Solitario o blues: castagna bollita.
Prima del consumo blues, di solito si passa dal “vorrei ma non posso”. Lo si attraversa durante sere melodiche di nostalgia battente, quando si accende il forno e si tenta di riprodurre nell’aria il profumo del ricordo, infilando in forno su una teglia le castagne dell’Esselunga. Non profumano, non fanno “crock” quando si adagiano nel contenitore e si pressano.
Si passa quindi, quasi di default, a un modo dignitoso e solitario di sfogare la passione: la bollitura con o senza buccia, manciata di semi di finocchio per veri intenditori. Roba da serate in compagnia della borsa dell’acqua calda. O preludio di cene indimenticabili.
Scoperta adulta: le castagne vanno bene su tutto.
Abbandonato il mito delle caldarroste, passando dritti di corsa di fronte all’uomo che le vende nel cono di carta per strada, ci si rimbocca le maniche e si gioca di fantasia. Una zuppa di castagne ben fatta può aprire il cuore ad una gioia immensa. Ma anche pane e focaccia, polenta e biscotti con la farina di castagne. Arrosti, tacchino ripieno o spezzatino di maiale con castagne. Frittelle, ravioli, tagliatelle, polenta e risotto, minestra.
Il contributo al diabete delle castagne.
Non c’è nella storia dei dolci qualcosa che somigli anche solo vagamente al Montblanc. Persino chi reagisce con indifferenza alla panna, di fronte al candore disonesto di questo dolce, sviene felice sommerso da una cascata di spaghetti di castagna.
E poi c’è il castagnaccio, quasi innocuo con i suoi pinoli che spuntano da laggiù e forse, qualche ago di rosmarino, dalla teglia ti guarda e come con una pizza al taglio, quadrotto dopo quadrotto, finisce. Con lui anche il tuo punto vita.
Menzione speciale al Marron Glacè, nulla di più buono fu mai concepito. Mai. Il punto vita in questo caso scomparirà per sempre, sotto i colpi della castagna candita e glassata.
Voi? Come cucinate castagne e marroni? Ma soprattutto come chiamate le caldarroste?
[Link: Placida Signora, immagini: Giusto Gusto, Gq, Gourmet]