Era stata annunciata come l’edizione della Rigenerazione (che era anche il tema del 2022), e così in effetti è stato, almeno in parte. Terra Madre Salone del Gusto 2022 è tornato finalmente in presenza, a Torino ma in un nuovo spazio – frutto di una scelta di rigenerazione urbana – all’aperto, gratuito e ampiamente partecipato. Non tutto, come era presumibile dopo quattro anni di stop, ha funzionato perfettamente, ma in generale i risultati portati a casa sembrano essere soddisfacenti, pur con qualche margine di miglioramento.
All’indomani dell’evento del cibo più amato d’Italia, il web, la critica, gli addetti ai lavori si dividono. Da un lato i fan che applaudono la scelta della gratuità, e pure quella della location. Dall’altro i detrattori che – nonostante il generale successo della manifestazione – puntano il dito contro le cose che non sono andate come previsto, che in effetti ci sono. Parcheggi, toilettes, logistica: tutte cose che Slow Food sa che deve migliorare per la prossima edizione, tra due anni. Ma, guardando al futuro, una cosa è certa: non si torna più indietro.
Terra Madre Salone del Gusto resterà open air, aperto a tutti e probabilmente pure periferico, ed è il caso di chiedersi il perché di questa scelta, piuttosto che fare le pulci ai suoi pro e ai suoi contro.
“Le valutazioni alla base della scelta di andare a Parco Dora non sono di carattere economico o numerico, o almeno non solo”, spiega Daniele Buttignol, amministratore unico di Slow Food Promozione, ente organizzatore dell’evento. “Si tratta soprattutto di una scelta politica, la stessa che abbiamo fatto nel 2016. Ci eravamo detti che dovevamo uscire, abbattere tutti i muri, fisicamente e idealmente. E il muro, in quel caso, era rappresentato dal biglietto d’ingresso. Carlin diceva che Terra Madre era un bene comune, e il bene comune bisogna trovare il modo di non farlo pagare”.
Quel modo, quella volontà di arrivare a un numero il più possibile ampio di persone a prescindere da un biglietto d’ingresso, non era compatibile con un evento in un padiglione fieristico. “Il Lingotto ci costava circa un milione di euro – prosegue Daniele Buttignol – che era più o meno quello che arrivava dalle biglietterie”. L’utilizzo di Parco Dora invece è stato dato gratuitamente a Slow Food, in accordo con il Comune e la Regione.
Quindi, va da sé, se si vuole fare un evento gratuito lo si deve fare all’aperto, per poter sostenere i costi. Che comunque ci sono, e sono alti. “Tende, pedane, sorveglianza e sicurezza”, elenca Buttignol. “Costi generali più alti che in un polo fieristico, che aumentavano i rischi: ma noi non siamo un ente fiera, di mestiere facciamo politica e progetti, quindi abbiamo deciso che valeva la pena di prenderci questi rischi”.
I conti non sono ancora del tutto chiusi, dunque non è ancora dato sapere se e quanto l’evento ha portato come margine (ma i bilanci sono pubblici, quindi presto si saprà). Quel che si sa è che Terra Madre Salone del Gusto 2022 è costato intorno ai quattro milioni e mezzo di euro, con un bilancio che si presume sia in attivo, al netto dei costi del personale.
A farlo quadrare sono naturalmente gli standisti – che spendono da 2000 a 20.000 euro per avere uno spazio – e gli sponsor – che mettono cifre molto più alte, che arrivano fino ai 120.000 euro del main sponsor. E qui si pone un altro punto nevralgico della questione gratuità, quello relativo alla tipologia di pubblico. Va da sé infatti che il biglietto di ingresso rappresenti una prima selezione tra chi è davvero interessato ai contenuti proposti e chi invece è di passaggio, e magari fa un salto per scroccare qualche assaggio gratis. Ai tempi del Salone del Gusto al Valentino diversi espositori si erano lamentati di aver trovato un pubblico più distratto e più interessato a mangiare che ad ascoltare. Era la prima volta, certo, e il cambiamento era radicale, ma alla fine questo tipo di scelta di apertura e gratuità piace davvero agli standisti, che con le loro quote finanziano la manifestazione?
“Io non credo che un pubblico sostituisca l’altro – risponde Buttignol – e credo che quest’anno ne abbiamo avuto la prova. Non è che andando a Parco Dora abbiamo perso il pubblico del Lingotto, anzi, lo abbiamo semplicemente aumentato. I nostri appuntamenti non sono mai stati così partecipati come quest’anno, neanche quando siamo stati al Valentino, e questo significa che c’era una grande attenzione”.
E qui si apre una nuova riflessione rispetto alla scelta di Parco Dora, che evidentemente è stata molto più ragionata di quanto la questione “Rigenerazione” facesse intendere. “Eravamo in un posto dove dovevi arrivare, e abbiamo avuto un pubblico che voleva trovarci, venire fino lì. Il Valentino era stata una scelta più centrale: lì avevamo intercettato molto di più un pubblico di passaggio, mentre chi veniva a Parco Dora era generalmente davvero interessato al progetto”.
“È evidente che il tema della gratuità sposta numeri più ampi”, conclude Buttignol. “Ma il nostro interesse non è solo far vendere i produttori, ma aumentare la consapevolezza delle persone su alcuni temi, e su questo Parco Dora ha dato delle risposte incredibili, anche superiori a quelle del 2016. Noi siamo sempre stati nelle periferie del mondo, e dovevamo andare in periferia anche questa volta: è stato un rischio, ma da tanti punti di vista è stato un grandissimo successo, anche perché abbiamo dimostrato che la gente se è interessata si sposta. E alla fine, i produttori e gli espositori hanno capito e sposato questa scelta, anche perché, a pensarci, togliere il biglietto di ingresso significa lasciare più budget nelle tasche degli acquirenti”.