Le prime volte non si scordano mai. Così Antonia Klugmann non dimenticherà il pomeriggio di ieri, passato al fianco di Virgilio Martinez, peruviano, uno dei più grandi cuochi al mondo (precisamente sesto nella classifica 50 Best Restaurants con il Central di Lima): lui prepara un ceviche, lei una pasta, si versano un bicchiere di vino e chiacchierano della cucina, dell’onesta delle persone, delle erbe, del mondo. La sera Virgilio e Antonia cucineranno – per una delle prime cene di Ein Prosit 2019, tra le più intelligenti e cosmopolite manifestazioni gastronomiche d’Italia (forse: la più) – , assieme, all’Argine a Vencò, il ristorante della cuoca friulana (nota al grande pubblico come giudice di Masterchef) a un passo dal confine con la Slovenia.
É la prima volta di sempre che lei ospita un collega nelle proprie cucine, non l’aveva fatto mai – tanto ritiene casa sua un posto intimo, dall’equilibrio delicato, la cui armonia va preservata e manutenuta -, e questa sera non la scoderà più.
Non la scorderanno nemmeno i quaranta clienti accorsi da lontanissimo e da vicinissimo – dal Brasile e dal Canada, da Udine e da Vencò (“quando ho detto che sarebbe venuto Virgilio Martinez qui, in paese, tutti mi dicevano “tienimi un posto!””, ride Antonia).
Dopo vent’anni a Tarvisio Ein Prosit – l’evento diretto da Paolo Vizzari e Claudio Tognoni, che prosegue fino a domenica – s’è spostato a Udine e attira in quest’Italia liminare grandi cuochi e grandi produttori di vino, ché di cene e degustazioni è fitto il programma dei 152 appuntamenti: le star russe Vladimir Mukhin e Anatoly Kazakov, il rinnovatore della cucina tradizionale turca Maksut Askar e l’americano diventato grande a Bangkok Tim Butler, la campionessa slovena Ana Ros, il divulgatore della cucina giapponese Zaiyu Hasegawa, la superstar francese Alain Passard cucinano qui in compagnia dei migliori colleghi italiani (il gran finale tricolore sabato, con tutti gli italiani presenti nella classifica Fifty Best Restaurants – nell’extended version fino al 120mo -, Alajmo, Camanini, Crippa, Fantin, Niederkofler, Romito e Uliassi).
Ma se ieri sera è stata indimenticabile non è solo grazie a un menù a quattro mani fatto di Friuli e Ande, di Collio e Amazzonia, di Carso e Lima, bensì a due cuochi fuori dall’ordinario, due persone radicali radicalmente diverse, che in una giornata si sono conosciute e riconosciute.
“Mi sento come un’appassionata di calcio che d’un tratto si trova a giocare con Maradona” scherza Antonia che tuttavia attorno ai fuochi non ha avuto alcuna soggezione. “Sapevo che avrei trovato una persona che mi sarebbe piaciuta. Conoscevo i suoi piatti, e lui vi somiglia: la cucina è così, non mente mai, uno è sempre uguale a quello che prepara. Lo stesso mi è successo lavorando a fianco di René Redzepi: identico alle sue ricette. Credo fermamente nelle collaborazioni: cerco negli altri la bellezza, la purezza. Non bisogna mai imitare, mai, ognuno deve trovare la propria strada, e confrontarti con onestà di aiuta a farlo: Virgilio è un uomo che arriva dall’altra parte del mondo, che ha una capacità di comunicare attraverso i piatti fuori dal normale, che ha una determinazione tale da permettergli di girare continuamente, da un fuso orario all’altro. La sfida per un cuoco italiano oggi è essere contemporaneo e originale, e non è facile: collaborazioni così servono a trovare la strada. Ed è indispensabile farlo: io mi chiedo perché andare in cucina tutte le mattine quando mi sveglio. Il fatto che poi ci passi quattordici ore è la risposta.”
“Per me è stata l’occasione per esplorare la cucina italiana contemporanea: all’estero continuiamo a essere pieni di cliché sul vostro paese” racconta Martinez. “Antonia è diversa da me, è “stanziale”, mi piace come sta nella propria casa.”
Ma se Martinez è venuto a Vencò non è solo per cucinare con una collega che stima: da sempre il peruviano usa la gastronomia come strumento per portare in giro per il mondo il proprio messaggio. Che è un messaggio letteralmente rivoluzionario: gli incendi in Amazzonia provocati da allevatori e coltivatori (cui sfugge di mano il fuoco utilizzato per deforestare e creare aree agricole) sono solo uno dei sintomi delle storture e delle iniquità prodotte dalla globalizzazione.
Martinez è un rivoluzionario gentile, comunica non con le bombe ma con piatti delicati e colorati, ma l’obiettivo rimane cambiare la società. “Ma le basta la cucina per cambiare il mondo?” gli chiediamo. “Credo di no“, risponde lui, con l’aria di chi ha in mente qualcosa.
[Foto: Andrea Moretti]