Voi lo sapevate che cos’è un prato stabile? E quanti batteri “buoni” ci sono in una goccia di latte? Bene, allora avete un motivo in più per andare a Cheese 2023. C’è tempo: la manifestazione internazionale dedicata ai formaggi a latte crudo, organizzata da Slow Food e arrivata alla sua 14esima edizione, si tiene a Bra dal 15 al 18 settembre. Il tema della manifestazione è Il sapore dei prati, per sottolineare come dal latte di animali alimentati al pascolo derivino i formaggi migliori, rispettosi dei territori, del benessere animale e della salute.
Ci si può iniziare a informare: sul sito cheese.slowfood.it ci sono una valanga di spiegazioni e approfondimenti, oltre agli appuntamenti di un programma che viene aggiornato man mano e agli espositori che via via confermano la propria presenza. Perché poi va bene studiare, ma è fondamentale assaggiare: e per questo andremo a Cheese, per il Mercato dei formaggi con oltre 400 espositori, i Laboratori del Gusto e gli Appuntamenti a Tavola, la Gran Sala dei formaggi e l’Enoteca, ma anche le conferenze e i percorsi sensoriali.
Prati stabili, cosa sono e perché sono importanti
Cosa ci vuole per fare un formaggio? Il latte, certo. Ma per fare il latte ci vuole un animale, un mammifero. Che mangia: ci vuole, l’erba, ci vuole un prato. E però, eccoci al punto, i prati non sono tutti uguali. Ci sono quelli seminati, che è un po’ come se fossero delle coltivazioni, dei campi di grano. Ma i prati seminati sono oligofiti, cioè formati da 2 o 3 tipi di erba consociati tra loro; o addirittura monofiti, con un solo tipo di pianta.
I prati stabili sono invece naturali, e ricchi di decine di erbe diverse, addirittura 100 in alta montagna. Sono prati non seminati, fondamentali per conservare la biodiversità vegetale e animale: richiamano infatti moltissimi insetti, fondamentali per l’impollinazione, che a loro volta attirano altri animali, come ad esempio gli uccelli e tutti gli altri predatori. Per ovini e bovini questi prati rappresentano il nutrimento migliore. Di conseguenza sono all’origine del latte e dei formaggi più buoni e più salubri.
Salvare i prati e i pascoli è estremamente importante perché, da oltre 60 anni, questi si stanno riducendo a ritmi preoccupanti, in Italia, in Europa e anche nel resto del mondo. Questo vale sia per i prati di alta quota sia per i prati di collina e di pianura: da un lato le montagne si sono spopolate, dall’altro monocolture e cemento hanno invaso le pianure. Dal 1969 a oggi sono stati cancellati all’incirca 110.000 chilometri quadrati di prati stabili.
Prati naturali però non vuol dire prati selvaggi, abbandonati a loro stessi. I prati stabili hanno bisogno del lavoro dell’uomo: devono essere curati, sfalciati, pascolati. I loro migliori custodi sono comunque gli animali a quattro zampe: mucche, pecore e capre, oltre naturalmente agli insetti: api, farfalle, vespe, coccinelle… Dove c’è un prato ben gestito, è più difficile che divampi un incendio o che la neve scivoli e provochi slavine. Ma soprattutto, il latte e i formaggi degli animali nutriti con erba e fieni di prati stabili sono ricchi di aromi, molecole antiossidanti e hanno un eccezionale rapporto fra acidi omega-3 e omega-6.
I formaggi naturali, il senso di un nome
Non ne avevamo abbastanza dell’hype sui vini naturali, ora parliamo anche di formaggi naturali? Vediamo che senso ha questa definizione. Perché è vero che è importante il prato, cioè quello che bovini e ovini mangiano, e che diventa la materia prima del latte. Ma poi ci sono anche i passaggi successivi. E fondamentale nel formaggio – come nel pane e nel vino – è la fermentazione. Facciamo quindi un tuffo nella vita microscopica.
Fino a qualche decennio fa, una goccia di latte poteva contenere anche un milione di batteri. Di questi, 800.000 erano batteri lattici necessari per produrre il formaggio. Oggi, nella stessa quantità di latte i batteri sono drasticamente diminuiti: possono essere 100.000, ma anche solo 5.000. Questa perdita di diversità microbica è particolarmente evidente nel caso di un latte pastorizzato, ma anche il latte crudo non è escluso.
Per rimediare a questa carenza e per attivare il processo di fermentazione, la strada più rapida consiste nel ricorso ai fermenti industriali. Fermenti prodotti in laboratorio e che danno esattamente il profilo del formaggio che ci si aspetta – ci sono fermenti per fare l’emmental, il camembert, lo stracchino… –, ma che inevitabilmente ne abbassano il profilo olfattivo e aromatico, e spezzano il legame con il territorio. Le stesse aziende forniscono inoltre il caglio, gli additivi, le muffe, i trattamenti in crosta, il fumo liquido. Con tanti saluti alle differenze tra produttore e produttore, territorio e territorio, formaggio e formaggio.
Al contrario, il casaro che vuole preservare questa diversità microbica può ricorrere al latte-innesto o al siero-innesto, nei quali sono presenti tanti batteri diversi – ogni stalla ha i suoi: più o meno in forma, più o meno favorevoli alla caseificazione –, profondamente legati al territorio, e che concorrono a dare odore e aroma al formaggio. Nei formaggi naturali li ritroviamo negli aspetti positivi, se il latte è stato curato, e negativi, se è stato maltrattato.
Scegliere un formaggio a latte crudo, senza fermenti, significa ritrovare in un formaggio le erbe che una data razza ha mangiato in un determinato contesto: l’erba brucata in alpeggio all’inizio dell’estate, ad esempio, che è diversa da quella che si trova tre settimane dopo.