46 milioni. No, non sono gli abitanti della nostra penisola giusto una ventina di anni fa, bensì tacchini. I tacchini che in media, ogni anno, vengono mangiati negli Stati Uniti nel Thanksgiving day. Oggi, praticamente.
Ma se per quanto riguarda i grossi volatili, nessun americano avrà problemi a rimediare il suo bel tacchino per il pranzo del Ringraziamento, la questione si fa più delicata quando si tratta di uova.
Sì, avete letto bene: uova. Di tacchino, naturalmente.
Le uova di tacchino negli ultimi tempi sono diventate una delicatezza estremamente ricercata, e tutti sono d’accordo nel lodarne la consistenza cremosa e il gusto pieno, così come racconta Wall Street Journal.
E sono ricercate sia per impreziosire piatti comuni sia per dare uno tocco di novità ai piatti più esotici, come ad esempio il sushi di uovo di tacchino.
Peccato che le uova di tacchino, che sono leggermente più grandi di quelle di pollo, non solo costino dieci volte tanto le comuni uova cui siamo abituati, ma siano anche molto, molto meno diffuse.
Gli agricoltori, infatti, ricavano di più facendo crescere i tacchini per la loro carne, e non sono minimamente interessati al business delle uova, reperibili soltanto in modi occasionali, in qualche cortile dove il contadino le propone come una specie di sottoprodotto, un po’ come le zampe di porco o il cuore di manzo.
Ma non solo: i grossi volatili sono molto meno produttivi delle operose gallinelle, e producono al massimo due o tre uova la settimana, soltanto in primavera ed estate, per esaurire del tutto la produzione nel mese di novembre.
Insomma, trovare le uova di tacchino pare un’impresa tutt’altro che semplice, tanto che per gli chef newyorkesi, reperire le agognate uova è diventata quasi una questione di vita o di morte.
Per il giorno del Ringraziamento, infatti, Yvan Lemoine, chef di Union Fare, un ristorante moderno situato nel centro di Union Square, aveva intenzione di offrire nel suo locale una portata composta da un’intera zucca arrostita, svuotata, riempita di una sorta di porridge e sormontata da un grande, bianco, lucente uovo di tacchino.
Il tutto per 85 dollari a persona.
Purtroppo, però, a sole due settimane dal giorno fatidico, Lemoine ha dovuto prendere atto che le uova di tacchino erano introvabili, e tutti i suoi principali fornitori non erano riusciti a reperirne nemmeno uno.
Ma non solo Mr. Lemoine ha avuto problemi. Il mancato approvvigionamento ha riguardato anche le panetterie specializzate in sandwich o i tanti negozi di specialità alimentari. E in tutti gli Stati Uniti.
C’è anche chi vuole assicurarsi l’esclusiva sule preziose uova. Come ha raccontato al quotidiano economico americano Karen Godwin, che manda avanti una fattoria nel Tennessee. Tra i suoi clienti c’è un fornaio che vorrebbe impedirle di vendere ad altri il proprio tesoro, per avere le ricche uova tutte per sé e il suo locale: “Se qualcuno ti avvicina per avere le uova, tu chiama prima me!”, avrebbe intimato l’intraprendente fornaio.
E tutti questi non sono che esempi, utili per capire quanto quelle che potrebbero sembrare comuni uova siano in realtà dei veri tesori che vengono contesi senza esclusione di colpi.
Ma i cuochi, comunque, forti della loro professionalità, non sembrano fare un problema troppo grande, della scarsità di uova di tacchino.
“Sarebbe bello se potessimo avere tutto l’anno uova di tacchino”, ha detto Tim Cushman, chef del ristorante O Ya, con sedi a Boston e New York e che usa le uova per il suo tamagoyaki – una frittatina in stile giapponese servita sul riso a mo’ di sushi – , ma quando non le abbiamo usiamo uova di gallina o di anatra”.
E per quanto riguarda Mr. Lemoine, con cui abbiamo iniziato questo racconto?
Beh, alla fine è miracolosamente riuscito a entrare in possesso delle preziose uova da un suo fornitore, e appena arrivate nel suo ristorante si è messo immediatamente ai fornelli per friggerle. “Mi sento come un bambino a Natale!”, ha commentato entusiasta lo chef.
Per poi aggiungere subito, dopo il primo morso “beh, hanno un sapore un po’ come di …uovo di gallina!”
Ma l’importante, in fondo, è sempre il viaggio, e non la meta.