In genere non faccio la spesa al supermercato. Visto che mi voglio bene, prediligo i prodotti di stagione, e amo la vita di quartiere mi rifornisco soprattutto al mercato, così risolvendo i tre (circa) pasti settimanali che non consistono in patatine, olive e Moscow Mule (sono una donna piena di contraddizioni). Ma da quando scrivo il Comprato&Mangiato del giovedì, il mercoledì vado a fare la spesa al supermercato.
Decido ogni acquisto dopo lunghe peregrinazioni, passo un’infinità di tempo girovagando tra le corsie con la stessa aria svagata e cupida che ho in libreria. Se l’abitante-tipo del supermercato è la madre di famiglia, che va a fare la spesa con la lista:
— comincia a mettere le cose nel cartello,
— vieta ai bambini di comprare le patatine,
— rimette sullo scaffale il sacchetto di patatine che i bambini hanno messo nel carrello in un momento di distrazione,
— sgrida i bambini,
— perde il desiderio di vivere,
— acquista cioccolata di nascosto dai bambini,
— conclude con i surgelati,
— paga alla cassa,
io invece sono una turista del supermercato. Così ho scoperto che ci sono modi per vivere il supermercato forieri di gioie inattese.
Esempi.
- Il voyeurismo della spesa altrui. L’irresistibile tentazione di spiare cos’ha comprato chi mi precede alla cassa, colto in un momento di completa nudità. Dalle mie ispezioni ho rilevato che tra uomini e donne c’è un abisso, in particolare quando vivono soli: le donne comprano sedani, robiole, yogurt e l’occasionale cioccolato della sublimazione degli istinti carnali. Gli uomini: uova, hamburger, biscotti e birra. Io, – oltre a essere voyeur – tendo anche a partecipare in modo sottile, rivolgendo sguardi di biasimo ad acquisti particolarmente poco salutari e ammiccando a spese che sembrano alludere a serate torride (sul gradino più alto del mio podio personale, il signore che ieri ha acquistato solo vino, fragole e Olio Johnson’s).
- La lettura compulsiva degli ingredienti. Un po’ perché evito di acquistare cose con componenti troppo bizzarri, un po’ perché sono curiosa e le scoperte che si fanno leggendo gli ingredienti sono spesso piccole epifanie, niente entra nel mio carrello senza che io sappia cosa contiene. Leggo le etichette di tutto-tutto. Dovreste farlo anche voi, anche se richiede tempo e alcuni vanno a fare la spesa con lo spirito di chi fa qualcosa che deve essere fatto e non del gitante della domenica. I non-compulsatori di etichette sappiano però che si perdono scoperte fascinosissime come gli ingredienti della scamorza affumicata Vallelata: latte, caglio, sale e aroma affumicato (ohibò!). O quelli dei preparati per budini: solo gelificanti, aromi artificiali e coloranti che rendono il latte un globo gelatinoso alla vanillina colorato di giallo. AI CUCCHIAI!
- La ricerca di una moglie o di un marito. Se uno non si fa distrarre troppo dall’attività descritta al punto 2 e fa invece tesoro delle informazioni raccolte con l‘intelligence del punto 1, il supermercato è un luogo dove si può trovare l’amore. In tempi in cui tutti convivono, gettare lo sguardo all’anulare della mano sinistra è poco utile per raccogliere informazioni sullo stato civile di qualcuno, mentre un carrello può dire molto: un uomo che acquista una vaschetta di crocchette al reparto gastronomia, una fetta di gorgonzola e un etto di mortadella è presumibilmente single. C’è solo da dire qualcosa per attaccare bottone: va bene tutto, tranne quello che state davvero pensando, cioè: “Lo sai che la tua dieta finirà per ucciderti?”
- I fuori orario. Mi piace andarci a metà mattina, per ascoltare il cicaleccio delle signore anziane e delle loro badanti, per guardare le neomadri e domandarmi “sarà una vera e propria postpartum o avresti solo bisogno di una notte di sonno?”. E mi piace andarci la sera, poco prima che chiuda, verso le 9, quando fanno la spesa i professionisti che lavorano fino a tardi, e vederli fare una spesa che somiglia alla mia, e mi chiedo come stiamo, siamo felici?
- La discrepanza lista/acquisti. Che andare a fare la spesa affamati sia una cattiva idea è chiaro persino a me. Eppure il supermercato riesce sempre a generare dei bisogni che mi portano a deviare dalla retta via della lista. Se sulla lista c’è scritto: sapone, arance da spremuta, ricotta io finisco comunque per acquistare sali da bagno al patchouli, marrons glacés e taleggio. E la colpa è del supermercato, non sono io che sono debosciata.