- Cos’è il tonburi
- Come si produce
- Caratteristiche
- Usi del tonburi
- Il prezzo del tonburi e dove trovarlo in Italia
E se vi dicessi che esiste un caviale che non solo costa molto meno, ma per la cui produzione non è stata torta una branchia a nessuno storione? Vi presento il tonburi, caviale di terra o di montagna giapponese. Un prodotto completamente vegano e cruelty free che sta iniziando a farsi conoscere grazie a pubblicità di livello (vedi il solito Eleven Madison Park: lo chef Danien Humm lo serve nell’avocado, come da copertina) e alle sue presunte o veritiere proprietà.
Ricavato dagli acheni dell’arbusto Kochia scoparia e sottoposto a un laborioso ma tutto sommato semplice processo produttivo, il tonburi è un prodotto più unico che raro. Che peraltro dimostra grandi potenzialità in cucina. Le somiglianze col caviale non si limitano all’aspetto estetico: anche la consistenza e in parte il sapore lo rendono un surrogato assai più sostenibile. Ecco cos’è, come si produce, le caratteristiche e gli usi in cucina del caviale vegano tonburi.
Cos’è il tonburi
Il tonburi è il seme del cipresso estivo Kochia scoparia, un arbusto piccolino e di forma rotonda il cui colore vira dal verde pastello al rosso acceso a seconda della stagione. Appartiene alla famiglia botanica delle Amaranthaceae, la stessa di amaranto e quinoa. Le sue foglie, che nell’insieme ricordano una scopa (dal latino appunto scoparia), producono acheni ossia frutti singoli contenenti un solo seme. È questa la materia prima per ottenere il tonburi. Ma come ci si è arrivati?
Siamo nell’ambito dello Shojin Ryori, la cucina buddista giapponese. Proprio come la cucina zen coreana, gli appartenenti all’ordine si astengono rigorosamente da carne, pesce e sapori forti come aglio e cipolla. Fra gli ingredienti tipici ci sono soia e derivati (tofu, yuba, natto), erbe di montagna come fuki e nanohana, alghe tra cui spicca la kombu per il brodo, ortaggi stagionali come zucca kabocha e radice di daikon. Da qui si è sviluppato il tonburi che, nonostante la tradizione plurisecolare del movimento, viene commercializzato soltanto dal 1975.
Come si produce
Siamo nella prefettura di Akita, zona montuosa a nord della principale isola giapponese Honshu. Il processo produttivo del tonburi comincia in autunno e coinvolge la città di Odate (peraltro luogo di nascita della razza canina Akita Inu). I semi vengono raccolti e le piante portate all’interno o protette per favorire una produzione ininterrotta di fogliame. Una volta rimossi i semi dagli acheni, questi vengono bolliti, essiccati e sottoposti a più risciacqui in acqua fredda per eliminare ogni impurità. Vengono rimosse bucce, residui e i tutti i semi di colore rosso. Il tonburi pronto si presenta in chicchi pieni di colore verde scuro che per certi versi assomiglia alla quinoa cotta.
Caratteristiche
Il profilo organolettico del tonburi comincia dalla sua consistenza. I semi infatti contengono saponine, composti terpenici amari che li rendono leggermente scivolosi. Questa caratteristica, unita alla croccantezza dello strato più interno (devono fare pop! fra i denti), è la ragione principale per cui il tonburi viene paragonato al caviale. Sul piano gustativo, sono due i sapori che spiccano: umami e vegetale. Manca completamente la salinità tipica del caviale cosiddetto e di altri caviali vegetali (su tutti, quelli ricavati da alghe). Inoltre, a meno di aggiungere un condimento grasso, non è presente l’untuosità intrinseca delle uova di pesce.
Fra le proprietà del tonburi vengono elencati alto contenuto di fibre, proprietà antibatteriche e riduzione dei livelli di colesterolo. Fra i vantaggi ricordo innanzitutto sostenibilità e basso impatto ambientale: non è un prodotto di origine animale e la sua produzione non va a disturbare (o distruggere) altri ecosistemi. Va menzionata anche la versatilità, merito del peculiare profilo organolettico che è assai meno invadente del caviale di pesce.
Usi del tonburi
Il trucco per utilizzarlo in cucina è smettere di pensarlo come “caviale”. Certo, alcuni fine dining vegani lo hanno usato a lungo come surrogato, magari posizionato scenograficamente su blinis e crème fraîche. Piuttosto va considerato per quello che è: un prodotto vegetale i cui punti forti sono consistenza straordinaria e sapore complesso, che va dal legume cotto al seme di broccolo fermentato.
Nella cucina nipponica il tonburi viene usato come condimento mescolato a salsa di soia, zenzero e fiocchi di peperoncino. Va così ad arricchire piatti tipici come udon asciutti o in brodo, insalata kani (una specie di coleslaw), maionese giapponese. Oppure come topping, specie su tofu, sashimi di pesce, insalata di patate giapponese. Per quanto riguarda gli usi del tonburi, siamo alla punta dell’iceberg: è ora di mettere la testa sott’acqua e vedere quanto è profondo questo mare di possibilità.
Il prezzo del tonburi e dove trovarlo in Italia
I vantaggi a livello di sostenibilità li abbiamo visti, ma in soldoni (veri) ne vale la pena? La risposta è: dipende. Posto che tutti il tonburi del mondo arriva dal Giappone, in Italia si trova soltanto online. Due i produttori che esportano all’estero: Watanabe Food e Tazawakocho Nameko. È disponibile in formato 170-280 grammi su alcuni siti web di distribuzione di cibo e accessori giapponesi con notevoli differenze di prezzo.
Il più economico si trova qui a 19.04 euro al chilo, il più caro a 85.54 euro al chilo cui vanno aggiunte le spese di spedizione, in questo caso dagli Stati Uniti. Fate attenzione dunque a chi lo rivende, in che valuta, e se effettivamente arriva anche in Italia. Superati tutti questi ostacoli, alla modica cifra di 14.82 euro (prezzo più spedizione) il tonburi potrà finalmente essere vostro.