Cibo etnico, bio, a km zero? Oppure pasti senza carne, senza lievito, senza zucchero?
Da qualche anno a questa parte si è fatto strada un rituale diffuso, accanto ai consueti oroscopi di fine anno, vale a dire prevedere le tendenze alimentari per l’anno che verrà, logica conseguenza del grande seguito mediatico che il mondo legato al cibo si è conquistato.
In realtà non serve la sfera di vetro: è sufficiente frugare regolarmente tra i temi dell’alimentazione, come facciamo ogni giorno qui su Dissapore, per capire come volgerà il nuovo anno.
Potevamo dunque rinunciare alla consuete previsioni annuali?
Certo che no.
Il boom del cibo “senza”: ne mangeremo di più (o della pasta alternativa)
Sembrano passati secoli da quanto l’opulenza del “con” attirava schiere di compratori entusiasti. Ora, e prevedibilmente sempre più in futuro, la parola magica è stata sostituita da “senza”.
Si è iniziato con il senza zuccheri aggiunti, poi si è passati al senza burro, senza olio, senza sale, senza glutine e così via, in una sequela di “senza” che dovrebbe, in teoria, condurci vicino all’alimento perfetto.
E tra tutti questi “senza”, troviamo anche la pasta senza grano, vale a dire senza farina di frumento, pasta “alternativa” in quanto prodotta a partire da altri cereali oppure da legumi, come quinoa, lenticchie, ceci o riso.
E se la “pasta di riso” è stata la prima a essere immessa sul mercato, ora la scelta è molto più vasta, e parecchi produttori si sono attrezzati per offrire formati di pasta alternativa, scrupolosamente “senza”, per venire incontro alle esigenze e alle necessità di tutti.
Occhio all’etichetta: ci informeranno meglio
Non solo i millennial, la fetta di popolazione più informata del pianeta, ma tutti noi facciamo sempre maggiore attenzione al contenuto del cibo che assumiamo ogni giorno. Informazioni che ci derivano in massima parte dalle etichette.
E se dalla semplice lettura non riusciamo a capire se l’olio etichettato come “italiano” proviene da olive italiane o è soltanto prodotto in Italia –a meno che non sia olio extravergine di oliva– possiamo comunque conoscere la provenienza della carne che portiamo in tavola, sebbene non di tutta.
Come potremo anche capire, ma solo in linea di massima, se la nostra biovetta è stata prodotta in tutto o in parte con ingredienti OGM. In Italia, infatti, gli OGM non si possono coltivare, ma ciò non significa che non potremo incontrare prodotti che li contengono negli scaffali del super o in qualche esercizio alimentare. L’Unione Europea, infatti, ne ha autorizzati 58 tipi che di conseguenza possono essere importati nel nostro Paese.
Discorso diverso per gli OGM presenti nei mangimi degli animali da allevamento. Anche in Italia, infatti, è permesso utilizzare mangimi contenenti OGM, regolarmente approvati dalla UE, e le carni e i prodotti derivati dagli animali così nutriti non devono sottostare all’obbligo di indicare questo tipo di alimentazione.
Io non spreco: stiamo e staremo più attenti
Per i festeggiamenti del 2016, solo in Italia si sono sprecati alimenti per mezzo miliardo di euro, finiti nella spazzatura pur essendo ancora perfettamente consumabili. Sempre in Italia, lo spreco alimentare nell’anno appena concluso è stato di circa 15 miliardi e mezzo. La stessa malsana abitudine si osserva in tutto il pianeta e per tutti i periodi dell’anno.
Fortunatamente, ora qualcosa pare essersi mosso.
Gli italiani sono infatti diventati più attenti a non sprecare, anche grazie all’approvazione di una legge contro lo spreco alimentare, che rende più facile per ristoranti e grande distribuzione donare le eccedenze alimentari.
E’ di notevole aiuto, inoltre, l’impegno di personaggi dal grande impatto mediatico, quali lo chef Massimo Bottura, che stanno focalizzando l’attenzione sul tema con iniziative concrete, quale ad esempio sfamare migliaia di senzatetto di Rio durante le ultime olimpiadi utilizzando avanzi di cibo derivanti dalla manifestazione.
La modernità aiuta: faremo la spesa tecnologica
La tecnologia aiuterà e semplificherà sempre più la nostra vita di consumatori. E non solo facendoci perdere meno tempo in coda alle casse –come già accade nello store Amazon Go di Seattle, ma anche grazie ad altri innovativi servizi.
Potremo infatti pagare la nostra spesa comodamente con il nostro cellulare tramite un’apposita app, e i generi “di prima necessità”, quali ad esempio il caffè, ci arriveranno a casa semplicemente premendo un pulsante, come giù accade con il Dash bottom, sempre di Amazon.
Oppure conosceremo in tempo reale tutte le informazioni relative al prodotto che stiamo acquistando: origine, provenienza, composizione degli ingredienti, apporto calorico dei principali nutrienti o modalità di corretto smaltimento del packaging; tutto semplicemente prelevando il prodotto dallo scaffale, come accade allo store Coop “Bicocca Village” di Milano.
Inoltre, sempre più punti vendita si attrezzeranno per fornire un’esperienza completa ai clienti, andando ben oltre il semplice atto dell’acquisto.
Come accadrà al F.I.CO Eataly World di Bologna, la cui apertura è prevista per settembre 2017, dove 10.000 metri quadrati saranno destinati a frutteti, pascoli e terreni dimostrativi, e dove tra piante di mandorle e nocciole si potranno anche ammirare nove razze di mucche e altre specie animali, tutto contornato da laboratori, workshop ed eventi vari.
Inoltre, l’energia necessaria per le attività sarà “pulita” e ricavata dall’installazione di 44.000 pannelli solari
Sugar free: taglieremo il consumo di zuccheri
Sempre maggiore sarà l’attenzione verso le cattive abitudini alimentari, quali ad esempio l’eccesso di grassi e di zuccheri.
Ma se per quanto riguarda i grassi l’attenzione è da sempre al massimo – come testimonia la rinuncia all’olio di palma da parte di numerose aziende nonostante il parere non unanime del mondo scientifico – le azioni sono state meno numerose e mirate per quanta riguarda gli zuccheri, riconosciuti colpevoli di gravi patologie quali obesità, diabete e problemi cardiovascolari.
Di recente però ha preso corpo l’idea di una tassa sulle bevande zuccherate, come già avviene in alcune località degli USA e in alcuni Paesi europei, quali Ungheria e Gran Bretagna.
Un modo per di disincentivarne il consumo, soprattutto da parte di quella fascia di popolazione più attratta da questi prodotti, vale a dire i giovani.
Delivery food: ordineremo spesso cibo a domicilio
Foodora, Just Eat, Deliveroo, tutti nomi con cui ormai abbiamo familiarizzato. Il servizio di consegna cibo a domicilio si sta imponendo anche in Italia, e nonostante alcuni problemi iniziali, in particolare per Foodora a Torino a causa dei rider che chiedevano migliori condizioni contrattuali, la tendenza a farsi recapitare a casa il pasto già pronto sta diventando sempre più una comoda moda.
Un servizio che coinvolge sempre più spesso anche i ristoranti blasonati, attrezzati per recapitare nelle nostre case addirittura un intero cenone di Capodanno, con tanto di paté di foie gras d’ordinanza e relativi attrezzi per approntare un vero e proprio pasto come si gusterebbe in un ristorante stellato, stando però comodamente seduti nel salotto di casa.
In definitiva, e al di là delle semplici mode culinarie, avremo sempre maggiore consapevolezza delle questioni e delle problematiche legate a quello che mattiamo nel piatto, dall’impatto sull’ambiente circostante alle ricadute sul nostro benessere.