Carissimi, vi scrivo da uno dei posti più belli del creato: Taormina.
Non voletemene: occuparsi di cibo significa anche andare in posti straordinari. È nell’ordine delle cose: i cibi buoni nascono in luoghi belli, e ancor più belli li rendono.
Se sono qua è perché è appena andata in scena la settima edizione de “La grande festa della cucina italiana” in seno alla manifestazione Cibo Nostrum organizzata dalla Federazione Italiana Cuochi.
L’evento è di quelli esagerati, come si confà all’isola: lungo corso Umberto I si susseguono 277 – DUECENTOSETTANTASETTE – postazioni di cuochi che fanno assaggiare le proprie cose.
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Ci sono tanti talenti italiani, tantissimi isolani: Seby Sorbello e Giovanni Grasso, Tony Lo Coco e Martina Caruso, Ciccio Sultano e Peppe Bonsignore e Marco Sacco (breve parentesi per i piemontesi: lo chef del Piccolo Lago conferma i contatti con Piano 35, il ristorante sul grattacielo di Intesa San Paolo, ma specifica che le trattative sono delicate e la situazione complessa: quindi è tutto in progress e nulla definito).
Ma la cosa che colpisce vivendo 48 ore qui a Taormina con i cuochi è che di cuochi si tratta, non di chef.
Nel senso buono, lasciatemi spiegare: in tempi in cui chi cucina è rappresentato solo come un tipo giovane, irrequieto, ambizioso e impaziente, qui invece ci sono centinaia e centinaia di professionisti abituati a farsi il mazzo senza mai farsi vedere.
Più cuochi che chef, più artigiani che artisti, più ex studenti dell’alberghiero che concorrenti televisivi.
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In queste ore Taormina è invasa da sous, da commis, da ragazzi di partita, da brigate, da lavoratori che si spaccano la schiena in ristoranti grandi e piccoli, in villaggi turistici, in navi da crociera, in campeggi, in locali per cerimonie. Non c’è l’atmosfera fashion e televisiva di certi premi: questa è una manifestazione di lavoratori, che –facendo le debite distinzioni– somiglia più a un congresso della UIL che alla Fifty Best.
Tutto ciò ricorda che la ristorazione è anche saper fare cinquecento coperti al giorno mantenendo diritta la qualità facendo attenzione al food cost, non è solo stelle e diciotto coperti e charme e passaggi in TV.
Cucinare è un mestieraccio, con gioie e dolori e qui si vede.
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Se dovessi dare un consiglio a un ragazzo che vuole assaggiare questo mondo, più che mandarlo a un convegno gourmet gli consiglierei di venire qui.
Magari deciderà di fare altro nella vita, ma intanto si sarà goduto Taormina.