Ricetta obbligata per le domeniche in famiglia, il ragù (quello serio) richiede tempo e pazienza. Si comincia dal sabato, con l’acquisto in macelleria dei pezzi di carne adatti alla bisogna e si prosegue il mattino della domenica con la cottura lenta e precisa della carne. Io inizio all’alba, dopo il caffè, prendendo una pentola capace sul cui fondo verso pancetta tritata, prosciutto, cipolla, aglio e prezzemolo. Quando il composto sfrigola ci aggiungo la carne di maiale e la lascio cuocere per un’ora e mezza. Dopo averla bagnata con abbondante vino rosso (mezza bottiglia) la faccio brasare lentamente per un’altra ora e mezza circa finché il vino non si riduce diventando uno sciroppo denso e scuro.
A questo punto aggiungo poco passato di pomodoro alla volta facendolo caramellare fino a quando non prende un bel colore rosso mattone.
Passeranno ancora un paio d’ore prima che la cottura sia terminata, dopodichè, quando il forchettone entrerà facilmente nella carne, prenderò il ragù e… lo butterò nell’immondizia. No, non sono impazzito, ma ho commesso l’errore di prendere la ricetta dal Los Angeles Times che a sua volta riprende quella del libro “La cucina Napoletana” di Jeanne Carola Francesconi. E questo per gli americani sarebbe il ragù perfetto? Dio ci guardi! Cinque, dico cinque, ore di cottura totale, niente olio per il soffritto, mezza bottiglia di vino rosso per fare una specie di brasato sciropposo e pochissimi pomodori per il sugo. E il prezzemolo, poi.
Non è la ricetta del ragù, questo è un attentato alla Cucina Italiana. Perfino uno scienziato avrebbe fatto meglio, figuriamoci voi. Scommettiamo?