Il 2020 è l’anno del pandoro, la nostra classifica dei migliori pandori 2020 è lì a dimostrarlo. Ma il pandoro è un mondo intero, che ha solo cominciato a dischiudersi davanti ai nostri occhi, così non potevamo non cimentarci nella storia delle origini del pandoro, una storia farraginosa di cui in rete si trovano le versioni più disparate e non sempre verificate.
Noi, un po’ gastrosecchioni, siamo andati a leggerci quello che si dice in Verona Illustrata a Tavola, di Andrea Brugnoli, storico e docente universitario che ha approfondito a lungo i temi della storia dell’alimentazione soprattutto nell’ambito veronese e della Valpolicella. Così siamo riusciti a mettere qualche puntino sulle i.
Quando nasce il pandoro
L’origine certa del pandoro è un’origine commerciale, nasce quando il signor Melegatti, allora proprietario di una drogheria nel centro di Verona, richiede ed ottiene l’attestato di privativa industriale (il brevetto dell’epoca) dal Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia per la sua nuova invenzione dolciaria, il pandoro appunto. Era il 14 ottobre 1884.
Per realizzarlo aveva perfezionato una ricetta che girava tra le famiglie veronesi da secoli, con molte varianti, un dolce a cui spesso si dava la forma di una stella a otto punte. Per rifare quella forma Melegatti affidò la realizzazione di un disegno per uno stampo ad un amico, il pittore impressionista Angelo dall’Oca Bianca, un artista riconosciuto, che aveva partecipato diverse volte alla Biennale veneziana ed era stato premiato all’Esposizione universale di Parigi.
Melegatti con il suo pandoro voleva andare sul sicuro: si impegnò così tanto per il lancio commerciale che propose addirittura un concorso con in palio mille lire, una discreta somma per l’epoca, che sarebbe stata vinta da chi fosse riuscito a riprodurre il dolce perfetto in casa (ovviamente sapeva che non avrebbe vinto nessuno); oggi lo chiameremmo contest e vedremmo taggare il signor Melegatti su Instagram.
Fu l’inizio di qualcosa di grande, sicuramente molto più grande di quello che aveva pensato Melegatti, per quanto avesse fatto le cose a puntino. Ora, nella vecchia sede veronese della sua pasticceria, in Corso Portoni Borsari 21, c’è lo storico palazzo Melegatti-Turco-Ronca, e sopra la balaustra delle terrazze laterali due pandori in tufo.
Il Nadalin e il pan di Natale, filologia di una ricetta
Moltissimi, tra cui Brugnoli, fanno discendere il pandoro dall’antico dolce veronese chiamato Nadalin. Si tratta di un dolce lievitato ricoperto di un impasto di pinoli lavorati con lo zucchero, “la pignocada“, e da granella di mandorle. Secondo quanto ci dicono gli studi di Andrea Brugnoli, si trovano menzioni di questo dolce già a partire dalla metà del Settecento nei documenti delle corporazioni dei festari o scalettéri, cioè le corporazioni dei produttori di dolci che potevano preparare una versione di pane dolce ricoperta di pinoli e zucchero, mentre ai pistori (i panettieri) era permesso solo di aggiungere zucchero alla pasta lievitata.
A dimostrazione di quanto la città di Verona si senta particolarmente legata al Nadalin, dal 2012 gli ha conferito il De.Co., il marchio di garanzia che i comuni italiani hanno la facoltà di attribuire ad alcuni dei loro prodotti per valorizzare le attività agroalimentari tradizionali.
Il Nadalin tuttavia viene considerato un antenato del pandoro non tanto per la sua ricetta, che prevede anche la frutta secca, ma perché era confezionato a forma di stella a otto punte, anche se era un dolce molto meno sviluppato del pandoro, un pasta dura, tanto che le punte venivano formate a mano prima della lievitazione.
E’ sempre Brugnoli che ci aiuta a far luce sulle molteplici varianti dei dolci delle feste nella tradizione veronese; se dal Nadalin il pandoro ha tratto la forma, la ricetta probabilmente deriva dal pane di Natale del monastero femminile di San Giuseppe a Fidenzio. Analizzando i registri di spesa della casa veronese Del bene, alla fine del 700, oltre al Nadalin è registrato un acquisto sistematico di un “pan di natale” prodotto dal suddetto monastero. Lo spirito da storico investigatore di Brugnoli aggiunge un dettaglio sui registri di acquisto del monastero stesso il giorno 21 dicembre del 1790, giorno in cui si acquistarono 500 uova oltre a una grande quantità di burro e di zucchero per la realizzazione dei pani di natale. La farina, probabilmente, era già presente nella dispensa del monastero, e con quegli ingredienti doveva uscire un pane di natale molto diverso dal Nadalin, e abbastanza simile a quello che diventerà il pandoro.
La trasformazione dei dolci di Natale antichi nel pandoro avvenne probabilmente verso la metà dell’800. Dal 1814 Verona cadette sotto il dominio austriaco, e negli anni 50 dell’800 aveva un ruolo importante nei possedimenti austriaci in Italia. Fu probabilmente in quel periodo che i dolci tradizionali di Natale cominciarono a lievitare molto più di quello a cui erano abituati i veronesi. La pasticceria di Vienna infatti è celebre per i pani lievitati, tipo brioche francese, e anche la tradizione veronese subì una spinta all’insù.
Un discendente del pandoro? L’Offella
Ma il pandoro non fu l’unico dolce a vedere la luce alla fine dell’800. A Verona a Natale si consuma l’Offella, che probabilmente deriva dall’offa, una focaccia al farro che gli antichi romani preparavano per nutrire gli animali che poi avrebbero sacrificato per i vaticini. Il diminutivo “offella” si trova in una ricetta del XV secolo ed indicava una piccola pasta dolce confezionata con sfoglia di farina e un impasto di chiara d’uovo, uva passa, cannella, zenzero e zafferano.
Particolarmente famosa oggi a Verona è l’Offella d’oro, ricetta datata 1° Ottobre 1891, quando Giovanni Battista Perbellini (bisnonno dell’attuale chef) dà vita a questo dolce, e registra il marchio. Giovanni Battista Perbellini lavorava con Melegatti quando fu messa a punto la ricetta del pandoro, e quando prese la sua strada per aprire la sua propria pasticceria, siglò un patto di non concorrenza in cui si impegnava a non rifare il pandoro. Da lì nacque l’Ofella, ancora prodotta nella pasticceria della famiglia; un lievitato soffice come il pandoro, che ha la forma di un tronco di cono e viene completato con granella di frutta secca.
Leggende e tradizioni
Una delle più famose leggende sul pandoro è legata all’origine del Nadalin che sarebbe datata alla fine del 1200 quando Alberto della Scala andò al potere succedendo al fratello Mastino, ucciso nel 1277, diventando a tutti gli effetti Signore di Verona. Per festeggiare il suo primo Natale in modo degno dopo la sua investitura, gli Scaligeri diedero l’incarico ad un pasticcere locale di “inventare” un dolce simbolo della grandezza della città. Ma è assai probabile che questo non sia vero. Altri invece aggiungono il Nadalin alla tavola di Romeo e Giulietta, come dice magistralmente Brugnoli: “per andare su una sicura riconoscibilità commerciale”.
Per irrorare la storia del pandoro con una spolverata di rural chic si segnala sempre che la tradizione delle donne veronesi era di trovarsi alla vigilia a preparare il levà, un pandolce con aggiunta di frutta secca. Altre informazioni però, su come fosse questo levà, non siamo riusciti a trovarne.
Sulla forma a otto punte infine si parla di rimembranze di riti pagani, con una notevole inflazione rispetto alla più canonica e stregonesca stella a cinque punte. Altri, più coscienziosamente, vedono nella stella a 8 punte un richiamo alla stella cometa dei Re Magi.
Etimologia
La leggenda vuole sia nato da un grido di stupore di un garzone dell’allora drogheria Melegatti alla vista di questo dolce, dal colore dell’impasto simile all’oro, abbia detto “L’è proprio un pan de oro!” Anche se probabilmente non è andata esattamente così, il pandoro fa chiaramente riferimento al colore di questa pasta lievitata molto gialla. Il riferimento al Pane d’oro era però già stato utilizzato commercialmente anni prima rispetto all’anno del brevetto (la fonte è sempre Brugnoli): nel 1871 da un certo Cesare Capri di Verona lo aveva portato ad un’esposizione regionale descrivendolo come “un panettone di pasta dolce”.
Il nome pandoro però potrebbe anche derivare dal pan de oro della Serenissima, di cui non abbiamo però notizie certe. Sembra che nelle case dei patrizi veneziani si consumasse, durante le feste, un pane ricoperto di una foglia d’oro. Se anche non fosse vero, il riferimento all’oro deriva sicuramente dal colore del pane: dobbiamo infatti ricordare che il consumo di pane bianco era destinato solo ai più ricchi e che quindi, già di per sé, un lievitato bianco doveva apparire come un cibo molto lussuoso.
[Immagini: Chiara Cavalleris per Dissapore]