Chiedetelo a un qualsiasi cuoco. A uno bravo. A uno scarso. A uno in una località turistica. A uno in una città. A uno in un posto sperduto. A uno famoso. A uno ignoto.
Se è estate, i clienti gli chiedono una cosa sola, una soltanto: gli spaghetti con le vongole.
Sono convinto che capiti anche a chef blasonatissimi, a gente rinomata nel mondo, che ha più stelle di un generale.
Se siete in confidenza, provate a domandarlo a Cracco, a Romito, a Bottura: di certo un cliente, di tanto in tanto, gli dirà “mooooolto belli i piatti in carta, sofisticati, ma… non si potrebbe avere uno spaghettino con le vongole?”
Gli spaghetti con le vongole portano a quella che chiamerei “la condanna del capolavoro”.
Un po’ come un direttore d’orchestra cui tutti chiedono la Quinta di Beethoven; come un teatro lirico che non può non mettere Mozart in cartellone; come il povero Villaggio cui fino alla fine tutti volevano sentire pronunciare la frase “com’è umano, lei.”
Ci sono cuochi che trovano questa tirannia dello spaghetto con le vongole molto frustrante: passano tempo a inventare piatti, a perfezionarne, ma i clienti non li sentono, vogliono solo quella roba là.
Fossi uno di questi, metterei un cartello sulla porta. Con scritto: “NON SI SERVONO SPAGHETTI CON LE VONGOLE”.
Da cliente, passassi davanti a quella porta, esiterei.