Ciò che conta è il viaggio, non la meta. E quel che conta in un viaggio è “a marenn”. Scelgo di proposito l’idioma napoletano perché è denso di significati. Non importa che il tragitto sia lungo o breve, nel mezzo ci devono stare le cibarie. Per me conta anche lo spazio in cui consumare il pasto in movimento. In cima alla lista c’è l’auto, poi il treno, la cabina di una nave e infine l’aereo.
Voglio mangiare guardando fuori da un finestrino e, che siano nuvole o alberi, ogni cosa deve muoversi. Tutto scorre. Pure il panino. L’autogrill, no dai, ferma la marcia. Ma lo so che gli estimatori del Camogli, non si contano. Insospettabili compresi. Tipo Davide Scabin, chef del Combal.Zero come avete visto nel video.
In auto ci mangio, ma non quando guido. Anzi io non guido, ma faccio la femmina premurosa: imbocco, affetto, sbuccio. Di solito la quantità e la qualità del cibo cambiano a seconda della lunghezza del viaggio. A me piace portarlo da casa.
- da 0 a 100km: riciclo roba. Yogurt in procinto di scadenza, mele, pane della sera prima, un po’ di burro o maionese, vado di lusso se mi avanza della robiola.
- da 0 a 300 km: una spesetta ci sta. Pane fresco, preferibilmente una rosetta morbida; affettato al banco, un crudo dolce con stracchino un po’ acido. La banana piccola bio la sostituisco d’estate con una bella pesca bianca che mi fa pure da dessert.
- da 0 a 500 km: qui l’idea di pranzo comincia a prendere forma. C’ho voglia di unto. Primo, il pane di Genzano (mia recente scoperta romana) “trafitto” da parmigiana di melanzane rigorosamente preparata il giorno prima. Alternativa, peperoni al gratin immobilizzati da una copiosa fetta di pecorino stagionato (mai dimenticare gli abbinamenti per contrasto).
- da 0 a 1000 km: la sofisticata arte di mettere assieme pranzo e cena. Qui uno stiracchiamento degli arti inferiori è concesso, ma non andrei oltre la piazzola dei camionisti. Direi, teniamoci leggeri con una fetta di erbazzone o di quiche ai carciofi (erbe dell’orto e carciofi romaneschi o di Paestum). La sera è dedicata alla frittata di maccheroni, quella alta almeno 5 centimetri. Che uno poi dice “maccheroni” ma io la faccio con gli spaghetti, mentre ci sono impavidi che puntano sul bucatino. Non sottovalutate la carica sociologica del triangolone di pasta. Ne porto sempre qualche pezzo in più. Come quella volta che, in un’area di servizio, dei camionisti cominciarono a darsi appuntamento con i baracchini, perché c’era una che aveva fatto la frittata di pasta e la distribuiva in giro.
E voi, cari lettori, mica volete dirmi che fate la fila per un Camogli?
[Crediti | Link: Repubblica Genova, video: girato e montaggio di Francesca Ciancio]