Ho trascorso gli ultimi due giorni Al DiVino Festival in un delizioso, piccolo centro siciliano: Castelbuono, nelle Madonie.
Castelbuono non tradisce il proprio nome: ci sono sia il castello che un sacco di roba buona, con una densità di gastronomia persino superiore alla media dell’isola (che è difficile).
A Castelbuono sono in attività 34 ristoranti per 9600 abitanti, il che rende la media pro-capite uguale a quella di Los Angeles.
A Castelnuovo c’è una delle pasticcerie più famose d’Italia, quella Fiasconaro che anche produce i celeberrimi panettoni.
A Castelbuono c’è il gelatiere Salvatore Naselli, che fa una granita arance e taggiasche da urlo.
A Castelnuovo pure dal barbiere tarantino, mentre ti rade, si parla solo ed esclusivamente di cibo (e avendo il rasoio alla mia gola ha ragione lui su tutto).
Tutto parrebbe quindi perfetto per un goloso. E invece no. Perché l’ospitalità può uccidere.
La prima persona che incontri ti porta al bar: “la devi assaggiare la granita!”.
La seconda, in pasticceria: “fanno una “Testa di moro” fantastica!”.
La terza: “e il panettone di Fiasconaro non vogliamo assaggiarlo?”.
La quarta: “la mangiamo qualcosina?”.
La quinta: “lo so che hai già pranzato, ma non vogliamo provare i tartufi da Nangalarruni?”.
La sesta: “il casaro ha appena portato la ricotta ancora tiepida!”.
Andando avanti così, ieri, giunto al sedicesimo invito, ero a un passo dall’arresto cardiocircolatorio.
Dunque ho distratto un attimo il mio interlocutore e sono, semplicemente, scappato. Proprio fisicamente: sono corso via a rotta di collo per una stradina. La fuga, qualche volta, è l’unica soluzione.
Mi sono chiuso in camera e quando mi sono venuti a cercare ho spento le luci e ho fatto finta di non esserci.
In Sicilia l’ospitalità è una cosa meravigliosa e incredibile ma non conosce pietà. Ora vi scrivo dall’aeroporto: sono salvo.
Grazie al cielo sono diretto in Liguria, dove l’ultima volta che qualcuno m’ha offerto un caffè c’erano ancora le lire.