“Aiuto, salviamo la sfogliatella riccia”, titolava ieri con comprensibile preoccupazione la Gazzetta dello Sport nelle pagine riservate al cibo.
Una tradizione secolare quella della sfogliatella, dolce simbolo della pasticceria napoletana, che rischia di perdersi a causa dei “tappi“, i gusci semilavorati delle sfogliatelle ricce, impiegati in gran segreto da parecchi pasticcieri.
Ma se permettete cominciamo questa storia dall’inizio.
A Conca dei Marini, antico borgo della Costiera Amalfitana, c’è il Monastero di Santa Rosa, oggi un bellissimo albergo, che un tempo ospitava le monache benedettine di clausura.
Storia della sfogliatella
Nel 18esimo secolo, una suora del convento mettendo insieme due semplici sfoglie di pasta diede vita a un dolce che aveva la forma del cappuccio del saio di un monaco ed era farcito con un ripieno celestiale composto da semola, zucchero e frutta secca.
Era nata la sfogliatella Santarosa.
Agli inizi dell’Ottocento in via Toledo, di fronte a Santa Brigida, c’era (e c’è ancora) la bottega di un pasticciere, un certo Pasquale Pintauro che a quanto pare aveva una zia monaca che probabilmente gli passò la ricetta. L’uomo però la modificò, apportando una variazione e creando così quella che poi è stata denominata sfogliatella napoletana.
Ancora oggi c’è chi sostiene che la vera sfogliatella sia quella fatta dal Pintauro, e chi invece è convinto che sia la Santarosa di Conca dei Marini.
La distinzione tra riccia e frolla
La sfogliatella riccia è una specie di conchiglia di pasta sfoglia sovrapposta, con un prodigio di abilità manuale, in strati sottili resi croccanti dalla cottura. Oggi all’interno si trova una crema consistente ottenuta per amalgama di semolino, ricotta, uova e zucchero, con aggiunta di canditi, acqua di fior d’arancio, vaniglia e cannella.
Di norma, cambiano l’impasto e la lavorazione, a parità di ripieno, nella sfogliatella frolla.
Lo spin-off accettato da tutti
Direttamente dalla sfogliatella Santarosa proviene la coda d’aragosta: pasta sfoglia con la caratteristica coda allungata farcita con panna e cioccolato, o crema chantilly e cioccolato.
Oggi sfogliatella Santarosa e code d’aragosta sono diffuse in tutto il territorio campano, mentre a Napoli e dintorni prevalgono le classiche versioni riccia e frolla, quasi sempre con identico ripieno: semolino e ricotta generosamente addolcita, canditi e spolverata di cannella.
Dove vanno i napoletani per la sfogliatella
Un tempo Carraturo a Porta Capuana era il posto preferito dei napoletani amanti delle sfogliatelle, ma è opinione comune che non siano più quelle di un tempo, purtroppo. Discorso simile per gli attuali eredi del leggendario Pintauro.
Le interpretazioni migliori, quelle che rendono onore alla sfogliatella napoletana, appartengono oggi a Attanasio, nei pressi della Stazione Centrale e a Bellavia in zona Vomero. Per gli studenti universitari Capparelli resta il mito di sempre. Poco fuori dal perimetro cittadino, a San Giorgio a Cremano, l’indirizzo su cui puntare a colpo sicuro è quello di Sabatino Sirica.
La crisi d’identità
Per contro, e non da oggi, a Napoli si registra l’invasione di veri attentati all’ortodossia della sfogliatella, esperimenti che prevedono forme kitsch e ripieni poco convenzionali, ibridi e mash-up anticonformisti.
Alcuni anche interessanti, come la “sfogliacampanella“, una sfogliatella ripiena di babà che è schizzata in cima alle preferenze dei napoletani, insieme alla loro glicemia.
L’impasto della sfogliatella riccia viene lavorato a forma di campana e farcito con uno strato di crema al cioccolato, ricotta e all’interno un mezzo babà.
La sfogliacampanella è un’invenzione di Vincenzo Ferrieri, rispettabile pasticciere di Sfogliate Lab, uno dei format che, insieme a Cuori di Sfogliatella (proprietà di un altro Ferrieri, stavolta Antonio) prepara sfogliatelle alternative, dai ripieni quasi eretici ma amati dai napoletani: alla crema di pistacchio, di limone, di frutti rossi (e per Natale anche quella di panettone).
Oppure, ripieni salati come salsiccia e friarielli, e addirittura una sfogliatella al baccalà.
L’altro cruccio, come già detto, sono i semilavorati. I pasticcieri che preparano le sfogliatelle ricce senza l’ausilio di gusci già pronti e surgelati, che fanno risparmiare tempo e denaro, diminuiscono a vista d’occhio.
Come si distingue la sfogliatella tirata a mano
Lavorare con maestria la pasta sfoglia richiede abilità, forza e lungo esercizio. Si parte da un impasto duro composto da acqua e semola che viene steso in modo da essere sottile come un velo, spalmato di strutto, infine arrotolato.
Inizia poi la lunga fase in cui si “stende il cilindro”. Da questo cilindro, grazie alla manualità del pasticciere, si ottengono i caratteristici gusci a conchiglia farciti con il ripieno prima di essere infornati.
Come si distingue una sfogliatella artigianale da una industriale? In genere il guscio semilavorato oppone una maggiore resistenza al morso perché più duro, quasi marmoreo, della stessa consistenza anche 24 ore dopo la cottura. Quando lo si addenta si ha l’impressione che le sfoglie taglino il palato.
Tutto al contrario dei gusci tirati a mano, che per tradizione devono sciogliersi in bocca. Non a caso, il giorno successivo, tendono ad afflosciarsi e a ripiegarsi su se stessi.
[Crediti | Link: Gazzagolosa, immagini: La cuoca del presidente, SfogliateLab]