Me lo sarò meritato per un qualche motivo un editore che mi chiede di scrivere di cibi alternativi. Forse è stato tutto il pane e salame che ho mangiato da piccola, o la mia insana passione per la trippa che ha indispettito qualcuno lassù. Fatto sta che ora sto scontando la mia personale versione della legge del contrappasso, sperimentando “cose” che mai mi sarei sognata.
Passi per i maltagliati di grano saraceno senza glutine, e per il pane azzimo senza lievito e senza sale. Ma ingredienti veramente alternativi mi erano finora del tutto sconosciuti. Finché, spinta dalla curiosità, non ho infilato nel carrello una confezione di seitan.
Per chi non lo sapesse, il seitan è un alimento proteico ricavato dalla lavorazione del glutine di frumento, estratto con una sorta di lungo lavaggio da un impasto di farina e acqua. La massa che ne risulta è lessata in brodo (vegetale, naturalmente) variamente insaporito: si va da aglio e zenzero a salsa di soia e alga kombu, secondo ricette e gusti.
Il risultato è una materia spugnosa che si può persino preparare in casa, nutriente come una bistecca (sarà!) e povera di grassi, in sovrappiù. Insomma, ideale per i vegetariani/vegani che ne fanno, di fatto, un sostituto della carne in polpette, hamburger, spezzatini, ragù. Potevo io non provare a farci almeno una cotoletta?
Perché diciamolo chiaro: l’aspetto non è un granché. Colore marroncino, superficie irregolare e viscosa, consistenza al tatto gelatinosa e appena cedevole. Appena sfilato il mio cilindrotto dalla sua busta sottovuoto ho esclamato “Ohibò!”, come faceva nonna quando le mostravo qualcosa di insolito e moderno tipo una vaschetta di sushi o un carpaccio di polpo.
Però, il motto di nonna, e non solo il suo, era che fritto è buono tutto (sì, ci avrebbe provato anche con sushi e carpaccio di polpo) sicché, forte di questa verità, ho pensato di trasformare la materia informe che avevo sotto mano in qualcosa di dorato e croccante.
Primo problema: lo spessore era eccessivo, così ho tagliato il cilindrotto a metà in orizzontale, ottenendo qualcosa di simile (sola nella forma, eh!) a due hamburger. Poi ho affrontato il problema successivo: volendo creare una ricetta vegan, come sostituire l’uovo necessario a far attaccare la panatura?
La soluzione è stata un miscuglio di acqua e farina piuttosto liquido, come fosse uovo sbattuto, appunto. Un’accortezza fondamentale, quella di un mix fluido, che ho anche quando uso questa pastella come colla, per esempio per chiudere gli involtini primavera, perché se è troppo spessa durante la frittura indurisce e risulta decisamente poco gradevole.
Il resto è stato facile: ho passato i miei due dischi di seitan prima nella pastella, poi in abbondante pangrattato, premendo bene per far aderire la panatura anche sui bordi. Avrei potuto mescolare al pangrattato un trito fine di erbe, ma diciamo che per questo esperimento volevo agire il più possibile in purezza, per non farmi distrarre da sapori diversi da quello del seitan.
La frittura è avvenuta in un filo d’olio extravergine ben caldo, appena profumato con aglio e alloro (va bene la purezza, ma almeno un profumo ho deciso di concedermelo!) per 5-6 minuti in tutto rigirando i pezzi di seitan un paio di volte.
Scolato su carta da cucina, salato e pepato, in onore di nonna l’ho servito su un piatto del suo vecchio servizio di campagna Richard Ginori anni Sessanta, accompagnandolo con una dadolata di pomodori marinati con olio, sale, pepe e cipollotto fresco.
E all’assaggio? Forse un po’ gommoso (l’ho già detto che ha la consistenza del caucciù, solo appena più morbido?), però… saporito, leggermente acidulo, insomma, commestibile, fin gradevole. Ohibò!
E voi, lo avete mai assaggiato? Addirittura lo cucinate spesso e lo preparate in casa? O non avete mai osato, però al primo ospite vegan giurate che lo proverete?
[Crediti immagini: Cibotondo]