Arcitaliana. Così veniva definita in tempi meno sospetti, quando ancora Antonella Clerici, nientepopo, non si prendeva qualche minuto su Rai 1 a mezzodì, le casalinghe tutte adunate, per difenderla da snob e gastrofighetti. E fa sorridere, al netto dei brutti insulti (pure un po’ banalotti) rivolti all’esemplare imprenditrice, che da oggi quell’epiteto possa assumere un significato meno metaforico: da arcitaliana che vende più libri di Umberto Eco con lo stesso taglio (di capelli, nel merito della scrittura non ci cacciamo) di nostra madre, ad ARCI italiana. Benedetta Rossi, segretaria dei circoli Arci.
“Baluardo della lotta di classe in Italia“, titola stamane La Stampa senza l’attenuante d’una nota di sarcasmo. “La sinistra riparta da Benedetta Rossi”, commenta cuoriciosa Viola Carofalo, portavoce nazionale di Potere al Popolo che, giuro sulle mie Louboutin, non voterò più.
Eppure a noi, parlo a nome della redazione rea di aver criticato le ricette furbe della celebre food blogger – sortendo lo sgradito effetto collaterale di quei leoni da tastiera che sentendosi chiamati in causa dallo spaghetto col tonno insultano indistintamente la Rossi e noialtri, ora perché “a favore” ora perché “contro” la cucina semplice e veloce – sfugge il nesso con la sinistra.
Intendiamoci, se Giorgio Gaber componesse oggi quel bel brano sui luoghi comuni direbbe, oso, “lo spaghetto con la scatoletta è di sinistra/il fine dining invece è di destra”, ma chissà a quale delle due fazioni ascriverebbe le influencer, siano avvenenti poser con Baguette di Fendi o più rassicuranti autodidatte della baguette scongelata in grembiulone, poco importa. Poco cambia, probabilmente il target delle imprenditrici stesse, nonché di se stesse, che tanto ammiriamo con un sentimento davvero lontano dalla sinistra italiana. Più vicino al mito del self made man o alla buona vecchia tradizione liberale, restando tra noi.
D’altronde, della caterva di commenti a seguito del lungo e pubblico sfogo di Benedetta Rossi, che rivendica con orgoglio tempo e denaro risparmiato alle persone reali (mica gente che conta le calorie dello zenzero da Eataly) a salvarsi sono i più passivo-aggressivi, gli apprezzamenti più schietti e meno ideali: “Vai avanti così Benedetta, falli rosicare tutti con il tuo successo”, della serie.
Successo che ben si sa, l’Italia non perdona e che Benedetta Rossi, ostinata nel non studiare dizione, pare meritare a pieno. Una donna che mette il lievito nel pan di Spagna e risponde sorniona alle domande di Valerio Lundini, forse il più cinico tra i comici che abbiamo, con lo stesso sorriso.
Il punto non è certo giustificare il suo successo, ma ascriverlo ad ideali politici di sinistra, come si fa in queste ore. Altrimenti in cabina elettorale dovremmo tenere bene a mente che Salvini ama la Nutella, i grassi saturi in genere e i pasti pronti nel più breve tempo possibile (già lo facciamo, vero?).
Due le questioni che mi porrò, mentre fisso l’aglio nero comprato al Salone del Gusto sentendomi di destra: lo smarrimento valoriale della sinistra ha raggiunto un livello tale da giustificare editoriali a sostegno di una Benedetta Rossi compagna? Perché al confronto l’armocromista di Elly Schlein che posa per Vogue è un lampo di genio. Certi attacchi a una Benedetta Rossi di successo, d’altronde, con tutti i roboanti precedenti che la cucina davvero popolare ha (penso a Wilma De Angelis su tutti), raffigurano chiaramente lo snobismo della sinistra che si merita Giorgia Meloni, mentre la retorica delle famiglie che devono arrivare alla fine del mese per forza di cose con il cibo meno sostenibile, altro tema ri-sfoderato dal Rossi gate e ben approfondito da Massimiliano Tonelli, odora tanto di populismo.
L’altro quesito pressante riguarda la totale assenza di letteratura che precede l’articolo della nostra Chiara Cajelli su Dissapore (alla quale morte e fallimento vengono augurati da giorni): possibile che nessun sito degno di nota, dalla rumorosa ascesa della scrittrice-influencer-albergatrice oramai datata 2016, si sia mai permesso di pubblicare un articolo critico nei confronti di quella che è a tutti gli effetti una delle più note imprenditrici digitali italiane?
Si sgombri la mente dall’insulto, dall’attacco vile, dalla volgare invidia: noi ci siamo limitati a fare il nostro mestiere, e il nome del magazine per cui lavoriamo è un manifesto di per sé (siamo dissacranti per antonomasia, certo poco patinati), ma nel pubblicare quello che da queste parti è un pezzo all’ordine del giorno, che certo non vuole opporsi al basso costo o alla popolarità del metodo Benedetta Rossi, ci siamo accorti che non esistono precedenti simili.
Sarà che nessuno vuole perdere voti.