Scienze Gastronomiche ha un rettore filosofo: cosa dobbiamo aspettarci da Nicola Perullo

Intervista a Nicola Perullo, neo-rettore di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Come la prima università "sul cibo" vuole di nuovo tracciare la strada.

Scienze Gastronomiche ha un rettore filosofo: cosa dobbiamo aspettarci da Nicola Perullo

Ritornare alle origini ed esserne il superamento. La missione di Nicola Perullo, nuovo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche, può suonare criptica, ma si rende cristallina a chi abbia assistito con attenzione all’evoluzione della didattica alimentare in Italia. O a chi avendo conosciuto il Magnifico da professore, ed è il mio caso, è stato spronato ad “andare oltre”.

Oltre i corsi di degustazione e i decaloghi, si intende, e più in generale le caselle. D’altronde l’approccio di Perullo non potrebbe essere che quello di un filosofo. Il suo percorso accademico, iniziato con il dottorato in estetica a Pisa, ha attraversato la passione e l’attivismo nel cibo (è il caso di dirlo, date le origini di Slow Food) in maniera indipendente e parallela, fino a confluire in una materia fondante dell’università di Pollenzo: la gastronomia, nell’ottica della percezione. O l’estetica del gusto, se preferite.

Quindi conobbe Arcigola, l’associazione genitrice di Slow Food, nel ’93, mentre “scriveva recensioni per gli amici, quasi di nascosto, perché allora era un po’ strano” e frequentava le lezioni sul vino di Sandro Sangiorgi. Incrociò inevitabilmente la strada di Bra, e quindi di Carlin Petrini, che nel 2002 ideava Scienze Gastronomiche: ancora ricercatore, fu coinvolto nella realizzazione della prima università sul cibo.

rettore nicola perullo

Un futuro radicato nell’entusiasmo visionario delle sue origini“: è il suo primo auspicio per Pollenzo, da quanto ha dichiarato. Cosa significa, ma soprattutto, cosa si è perduto?

20 anni fa, quando è nata Scienze Gastronomiche, il fatto di assaggiare un formaggio, discettare di un prosciutto o degustare un olio e farne una formazione era avanguardia. Era una proposta dirompente. Adesso basta accendere la televisione in un giorno qualunque per rendersi conto che tutto questo è di senso comune. La formazione su questi temi è ovunque e a tutti i livelli, e quando una cosa la fanno tutti, così come funziona, inizia a declinare. L’Università di Pollenzo, e Slow Food prima di essa, ha creato un movimento in uno spirito visionario, che ora però deve essere rinnovato con un’idealità che vada oltre“.

Come cambierà Unisg

Università di Scienze Gastronomiche

Anche perché oggi i corsi di studio in scienze gastronomiche sono parecchi, e vien da chiedersi perché scegliere Pollenzo.

“Sono una ventina, all’incirca, complice l’istituzione di questo corso di laurea nel 2017 da parte del Ministero. Noi manteniamo la nostra unicità in un’esperienza esistenziale e formativa che va al di là delle materie insegnate, nei rapporti umani e nei servizi offerti, nonché nella nostra dimensione misurata, che rappresenta un vantaggio, e puntiamo a un numero limitato di persone”.

Anche per via dei costi, immagino. Le rette Scienze Gastronomiche sono inaccessibili ai più.

“Lavorare sull’accessibilità è una priorità: studiare sistemi per rendere i corsi più economici o aumentare le borse di studio, insomma. Posto che la nostra università è già meritoria sotto questo fronte: più del 20% degli studenti beneficiano di borse, tra quelle erogate direttamente dai partner e quelle messe a budget dall’ateneo”.

Quali altre priorità, altri cambiamenti pratici, prevede?

“Stiamo lavorando a una riforma dei corsi, per differenziare i percorsi formativi. Vogliamo differenziarli maggiormente, con una magistrale più accentuata sul business e un’altra incentrata su salute e ecologia (attualmente la laurea magistrale, così come quella triennale, prevede un unico percorso, ndr.). Poi c’è l’esigenza di profilare maggiormente i master, con l’opzione di creare corsi post laurea excecutive per  coloro che non hanno il tempo o la possibilità di trascorrere un anno intero a Pollenzo. Insomma, cerchiamo di mantenere forte l’identità di Pollenzo adeguandoci a una formazione più ampia e chiara, in un momento delicato per la formazione di per sé: l’università oggi è percepita diversamente e subisce un forte calo di iscrizioni, anche a fronte di alternative percepite probabilmente come più pragmatiche (le università telematiche, la formazione professionale)”.

Il futuro dei gastronomi

D’altro canto lei è il primo a parlare dell’università come di un percorso di vita.

L’università non è un avviamento al lavoro, anzi dovrebbe rendere una persona più preparata nel complesso, e più abile e capace di trovare autonomamente un lavoro. Insomma non è un’agenzia interinale. Detto ciò, a UNISG abbiamo una popolazione studentesca assai differenziata e chi frequenta la magistrale, per esempio, è molto più orientato a un output lavorativo, ma è difficile che un 21enne appena laureato alla triennale, oggi, sia già fatto e finito per il mondo del lavoro. O meglio, può succedere, ma non solo per merito dell’università. Ci sono tanti fattori. Noi a Pollenzo abbiamo peraltro un Career Center che è adibito proprio a favorire i contatti tra studenti e imprese. Personalmente però credo sia necessario entrare in un’altra ottica: la laurea di primo livello è ormai una formazione di base, che spesso chiede di essere integrata con altra formazione o altre esperienze, al di là dei casi di successo di studenti bravissimi e dei rapporti forti tra università, partner e aziende, che senza dubbio rappresentano un valore aggiunto di Pollenzo”.

A questo proposito, sono molti i gastronomi che, oggi, vanno a lavorare per le multinazionali del cibo. Non è paradossale, per gli studenti “di Slow Food”?

Slow Food è una missione a fronte della quale Scienze Gastronomiche, che è nata nel suo grembo, ha un progetto culturale che molte università non hanno: promuovere un cibo di qualità, accessibile e sostenibile nella produzione. Cosa significhi ciò apre il dibattito, ma anche la collaborazione e il dialogo tra posizioni diverse. Abbiamo studenti che pensano di poter portare una visione più sostenibile nelle grandi aziende e altri che per quelle stesse non lavorerebbero mai: certe volte i secondi sono più coraggiosi, altre volte se lo possono permettere. Perché magari nelle piccole imprese trovano un welfare peggiore di quello che avrebbero riscontrato in una multinazionale. Il male e il bene hanno percentuali e gradienti diversi: gli studenti devono essere formati a comprendere questo. Accedere alla molteplicità del pensiero, e fare la loro scelta”.