“A proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?”. La battuta di Totò, in un mondo ideale, sarebbe sufficiente ad aprire e contestualmente chiudere qualsiasi discorso intorno al cibo, e alla polis. Ma purtroppo siamo nel mondo reale, e ci tocca spendere qualche parola in più. Il leader della Lega nord Matteo Salvini ultimamente, come sapete se non avete passato gli scorsi giorni su Marte beati voi, viene accolto da piazze piene di oppositori, un movimento apolitico (sigh) che si è battezzato “sardine”.
Pesce azzurro per eccellenza, è qui evocato non tanto per omaggiare le sarde a beccafico adorate dal commissario Montalbano, quanto per augurarsi la compressione tipica del cibo inscatolato. E finora la profezia che si autoavvera ha funzionato. Ma con le metafore c’è da stare accorti, perché tendono a sfuggire di mano, o dal piatto, assai velocemente. La parola definitiva l’ha già detta ieri Guido Vitiello sul Foglio, disegnando un panorama politico italiano che si è dato all’ittica – tra pesci pagliaccio, capitone e i sempiterni liberali alle vongole – e che è diventato una parodia della canzone popolare napoletana Lo Guarracino (un meraviglioso teatrino di pesci noti e meno noti del golfo partenopeo, come partenopeo è Vitiello, anche se qualcuno potrebbe contestare l’ingerenza in campo acquatico di un mammifero terrestre).
Ma sempre nella giornata di ieri, Salvini è stato a Sorrento, dove per l’occasione le sardine si sono rinominate fravaglie. E qui ci spostiamo dalla buvette di Montecitorio alle friggitorie napoletane con i loro cuoppi di pesce. La fravaglia infatti che cos’è? A molti napoletani questo nome più che altro ricorda una cantilena, che originariamente era una formula contro il malocchio:
Aglio fravaglia fattura ca nun quaglia
Corna bicorna capa ‘e alice e capa d’aglio
Ma qui siamo in ambito di nuovo magico e simbolico, di mera assonanza rituale. Letteralmente la fravaglia, in italiano fragaglia (dal latino frangere) è definita così dalla Treccani, nientedimeno:
Nell’Italia meridionale, in senso collettivo, i giovani pesci di una determinata specie (fragaglia di triglie, di sarde, di alici), o anche l’insieme di novellame di specie diverse, che è messo in vendita così mescolato, adatto soprattutto per fritture.
Fravagli’e treglia infatti è espressione in uso ancora a Napoli. E come si vede sono citate le sarde, e la frittura. Nella ristorazione contemporanea la fravaglia è intesa però più che altro come misto di specie diverse, come rimasuglio e quindi come piatto povero, atto a comporre il fritto di paranza. Mangiando la quale ci sentiamo così autentici, così vicini al popolo, così in simbiosi col pescatore che aiutiamo a disfarsi dei rimasuglio inclassificabile impigliato in fondo alle reti, e quindi anche così ambientalisti ed ecosostenibili. Tutto questo, mentre sorseggiamo una Falanghina da 12 euro al calice in una pescheria avotata a localino da aperitivo, sooo true.
Solo che, lo sentivate arrivare?, ecco il colpo di scena. Introdotto qualche giorno fa su Facebook da Pietro Treccagnoli, giornalista e scrittore e conoscitore di cose napoletane. Il quale scrive: “Attenzione a non confondere la fravaglia con la mazzamma”. Oh, ecco un nome che non sentivo da anni! E che però nel mio uso borghese e contemporaneo del dialetto era da intendersi in senso traslato, di nuovo: feccia, accozzaglia (e dalli coi mitili!) di persone poco raccomandabili, gente di merda insomma. Ma invece qual è il significato originale e letterale di mazzamma? Lasciamo la parola ad Achille Spatuzzi, che nel 1863 pubblica le sue ricerche sull’alimentazione a Napoli nelle varie classi.
In Napoli la quantità dei pesci è scarsa in proporzione del numero degli abitanti, ed è perciò che le qualità più pregiate si vendono a caro prezzo, e si comprano solo dalla gente agiata. Le qualità inferiori che si smerciano a prezzo più mite vengono ordinariamente mangiate dalle persone del volgo
E sono quindi “vavose”, “ruonchi”, “marvizzi”, il “pesce castagna”, e gli “sparagliuni”, “pesci assai molesti per l’immensa quantità delle spine”.
Ma il nostro popolo minuto è massimamente ghiotto delle fritture di pesce (…) per lo più composte dal guarracino nero e guarracino rosso, da quelli che volgarmente si chiamano sauri e saurielli, dalle diverse specie di mazzuni, dalle tremolelle, e dalle varie specie che vanno sotto il nome bizzarro di Cazzilli de mare e infine dalla platessa nuda (suace) e dal gadus minutus (fiche); così molto spesso si sentono i nostri pescivendoli gridare: fiche e suace!
Scommetto che questi nomi non li avete mai sentiti, eh? Be’ neanche io. Come molti napoletani, alcuni dei quali per esempio ho visto farsi vanto di ricordare il pesciaiuolo gridare “fichesuace!”, come se fosse un nome unico. Ma veniamo al punto.
Ma quella miscela di pesci minuti fatta per lo più dai piccoli delle triglie e dei seranni, detta volgarmente fravaglia, costituisce una frittura gradita che si mangia spesso anche dalle persone agiate; mentre il popolo minuto mangia più ordinariamente un’altra miscela di pesciolini maltrattati che appella con il nome vernacolo di mazzamma.
Eccola lì. Svelato l’arcano: la fravaglia sarebbe quindi un piatto finto povero, un mixtum raffinato. Il vero scarto del pescato è la mazzamma. Ma le sarde, a che categoria appartengono? A chiarire, o ad aumentare la confusione, cito l’ultimo passo:
Tra i diversi pesci, quella poi che è massimamente usata dal nostro volgo è la sarda (…) Lo stesso può dirsi delle alici; di queste il volgo mangia talvolta le più piccole e le meno pregiate, perché le altre si vendono a caro prezzo.
Quindi la sarda (pesce) a volte è fravaglia a volte è mazzamma. A seconda di quanto spine ha, di quanto è grande, di come ci fa comodo. Sentite odore di metafora, più che di frittura? Non sbagliate neanche stavolta. Perché in effetti che cos’è un populista se non un appartenente all’élite che si trucca da volgo, un politico furbo e ricco che si finge sempliciotto e straccione? Sto parlando delle sardine o di Salvini? Fate voi, io torno a friggere.