Radiomouth, radiofrequenze in rete. Il sabato con il food-jockey di Dissapore.
Mi mancava saltare la colazione per stare bene. Me l’ha detto il mio pusher di birotae: uscire la mattina presto, pedalare per un paio d’ore prima di fare colazione. Il corpo reagisce e consuma le riserve remote, dice, prima di cominciare ad azzannare i muscoli. Quindi le abbiamo sentite tutte: dal Mulinobiànco che dobbiamo mangiare almeno 1/5 della Razione Giornaliera Consigliata degli zuccheri a quelli che era meglio quando c’era la minestra. Ricordo bene un competente, documentatissimo e azzimato relatore che raccontava della colazione ideale: proibito lo zucchero bianco che è veleno, proibiti gli olii vegetali che sono veleno. Proibito il latte che contiene i fattori di crescita, proibito il burro che c’è il grasso animale.
Presentava, detto relatore, il suo di lui corpo come icona della salubrità: secco, segaligno, magro, e verdolino. Era vegetariano felice, diceva, e sosteneva che la colazione ideale erano i cerali bolliti in acqua, con un pizzico di sale. Frutta, pane: ma di quello fatto con il lievito madre. Sosteneva che poi, ad abituarsi, poteva anche piacere. Mi volevo alzare per ricordargli che anche l’asino di Buridano morì, proprio quando si era abituato a non mangiare più niente.
Ma ci hanno detto anche che la colazione deve valere un quarto delle calorie consigliate Per Un Uomo Medio Adulto Occidentale. Duemila calorie al giorno: se io avessi una dieta da duemila calorie al giorno, diventerei mille chili in tre mesi, inclusi duecento km la settimana di bicicletta.
Poi ci hanno detto che la colazione vuole salata, come quella di una volta: una bella focaccia imbottita di prosciutto crudo, un bel caffè nero e forte, magari un bicchierino di frizzantino. Poi ci hanno detto che la colazione ideale c’è la spremuta, la frutta, la banana sì, la banana no, l’ananasso che brucia i grassi, il latte crudo, il latte bollito, tutto e il contrario di tutto.
E questa è quella che mi piace di più: il caffè della moka, o il tè Principe di Galles della Twinings con il miele e il latte del Bancolat, quella sì che è l’invenzione del secolo. Il panettone avanzato, la spongata di ieri: la pizza fredda, il pane tostato, la crema spalmabile, i cereali, lo yoghurt. Due biscotti, la torta di mele. Quello che capita.
Invece la colazione degli alberghi, by jove, è la cosa per me più incomprensibile. Ne vedo parecchie decine ogni anno e la storia è sempre quella: colazioni di devastante squallore. Quattro stelle con la macchina del caffè automatica, personale irritabile, briosce surgelate mal riscaldate, monoporzioni di tutto. Dice, è la legge, per le monoporzioni. E va bene, continuiamo a farci del male [cit.] che la colazione è l’ultimo ed indelebile ricordo di un albergo: quello che ti aiuterà a non tornare mai più.
E poi c’è questa questione della colazione e del pranzo che non mi va giù: che a Milano quelli che si danno un tono ti invitano “a colazione”. Io non riuscirei ad evitare di mettere la bocca a cul di gallina, se dovessi invitare qualcuno “a colazione” che è poi a pranzo. Me l’hanno spiegato mille volte: la piccola colazione è quella del mattino, la colazione è il pranzo eccetera, come facevano gli aristocratici. Praticamente una vita a tavola.
Resta che Holly Golightly è una delle figure femminili più irresistibili della storia della letteratura, ma non solo perchè faceva colazione da Tiffany.