È proprio vero che in cucina ormai bisogna fare i salti mortali per farsi notare. Non basta più servire all’ospite una pietanza impiattata alla perfezione per titillarne le papille gustative amalgamando alla perfezione i cinque gusti principali.
Bisogna stupire il commensale, immergerlo in un’esperienza multisensoriale, come dicono a Milano, che magari lo distragga da quello che gli viene servito sulla tavola.
Ho partecipato a un evento davvero sopra le righe, organizzato da Frigo2000 in collaborazione con l’azienda tedesca Bora, specializzata in prodotti ad altissima tecnologia per la cucina: una degustazione all’interno di un container trasparente, sollevato a 30 metri di altezza da una gru. Sopra al Campo Boario di Testaccio.
Vi sento, avete detto “ma è una copia spudorata di Dinner in the Sky!”. In effetti l’idea è quella nata in Belgio: un gruppo di persone si ritrovano unite nello stravagante destino di mangiare un pasto cucinato da uno chef mentre si ritrovano gambe all’aria a un’altezza variabile.
[Dinner in the sky: Roma a 50 metri d’altezza]
Nel mio caso però l’evento era al chiuso in una struttura protetta da vetri trasparenti per gustarsi l’ambiente circostante. E soprattutto, si è svolto a Roma. Chi è interessato all’argomento ricorderà che dopo un paio di tappe nel nord Italia, gli organizzatori di Dinner in the Sky sono rimasti invischiati nella burocrazia della capitale, e dopo un paio di rinvii l’evento di Roma è stato cancellato.
Sorpreso dall’improvviso snellimento burocratico romano ho partecipato all’evento che si è svolto per tre giorni nell’area dell’ex mattatoio romano, oggi in via di (lentissimo) recupero.
In realtà è stata una furba scusa per testarte il menu ideato da Luigi Cassago, ennesimo enfant prodige della cucina stellata italiana (25anni) che dopo essersi formato in alcuni ristoranti del varesino (tra questi il Quattro Mori, una stella Michelin), ha racimolato un bel po’ di successo re-inventandosi come chef a domicilio e poi come youtuber di cucina.
Ora, per chiudere il ciclo, è in procinto di aprirsi un locale tutto suo a Milano dove sfoggiare l’esperienza maturata.
Il menu prevedeva tartare di carne su un letto di crema di topinambur, prezzemolo e misticanza alle dodici erbe come antipasto. Ramen con tataky di carne, funghi e verdure di stagione al posto delò primo piatto, seguito da una tagliata di pancia di maiale cotta lentamente a bassa temperatura e accompagnata da polenta morbida al latte, castagne e verze in agrodolce.
Per chiudere un tris di dessert: cremoso alla banana e cioccolato bianco; crema ganache al fondente e sale; crumble di cacao, basilico, funghi e sottobosco.
Una degustazione completa, ricca, studiata e probabilmente più adatta a una cena di gala che a un pranzo nei cieli romani.
Nel frattempo, le aspettative si sono dovute misurare con la complessa realtà.
Le condizioni meteo non eccellenti, una serie di lungaggini dovute ai collaudi, alcune richieste dell’ultimo minuto degli altri commensiali, ci hanno costretto a iniziare il pranzo con oltre un’ora di ritardo e a ridurre sensibilmente l’esperienza. Morale della favola: menu drasticamente ridotto per una degustazione volante in versione sintetizzata.
Alla fine bisogna riconoscere a Cassago sana compostezza e una buona dose di sangue freddo, visto che, nonostante tutto, è riuscito a confezionare un paio di portate riuscite. Il ramen è infatti sopravvissuto intonso alle mille peripezie, seguito da un mini hamburger molto bello da vedere.
E l’esperienza a mezz’aria? Fulminea! Questo è il primo aggettivo che mi viene in mente.
Mi aspettavo di percepire qualche sensazione di vuoto durante la salita o la discesa, o magari di provare chissà quale brivido durante il periodo di stasi a 30 metri per assaggiare le due portate. Invece nulla: probabilmente se non ci fossero stati i vetri a ripararci dalle intemperie e a ricordarmi costantemente che Testaccio era sotto le mie scarpe, mi sarei dimenticato della levitazione durante il primo brindisi.
Devo però riconoscere a Bora di aver trovato una situazione spettacolare per sponsorizzare i suoi piani di cottura a induzione con cappa d’aspirazione incorporata. Considerato che ci siamo ritrovati in venti persone, all’interno di un parallelepipedo, mentre uno chef cucinava degli hamburger, saremmo potuti andarcene via con i vestiti croccanti e affumicati, tipo quando si torna a casa dopo un barbecue con gli amici.
Invece gli odori della cucina non ci hanno mai raggiunto; la fame invece, quella non c’è stato il verso di estinguerla con quella degustazione. Ma almeno ci siamo tolti lo sfizio di un’esperienza che a Roma, sarà difficile ripetere.