Ebbene, è possibile risparmiare in cucina (anche tanto) mangiando bene da ogni punto di vista. E al contempo è inaccettabile pensare che a scarse possibilità economiche non possa che conseguire la scelta di cibi industriali, grassi, calorici, e al ribasso economico. Ed è inaccettabile anche che una scelta diversa (o un budget diverso) sia ridotta a lusso gastrofighetto. Tra economia e gastrofighetteria passa in mezzo lo stesso abisso di sfumature che passa tra il nero e il bianco, o tra il mangiare e il nutrirsi, o tra l’abbondanza pantagruelica e la qualità oculata.
In un mondo che ha il dovere di esigere e diffondere etica del cibo, nonché insegnare a riciclare per sprecare il meno possibile, ed è pure attanagliato dall’aumento esponenziale di disturbi alimentari, chi parla di cibo e ricette non può permettersi di fare scivoloni né banalizzare (o ridurre a mera etichetta) alcunché. Perché allora è inutile sbattersi a educare, a investire su agricolture alternative, a sensibilizzare sulla stagionalità, a mettere nome e cognome in faccende scomode. I Manic Street Preachers cantavano “if you tolerate this, then your children will be next“: se ora accettiamo tutto ciò, i nostri figli saranno i prossimi (che subiranno, o protrarranno il danno).
Leggere le etichette
Cosa ha a che fare l’etichetta con il risparmio? Tutto. Perché ci sono alimenti che costano poco e valgono anche poco, e alimenti che costano meno rispetto ai grandi marchi anche se sono proprio i grandi marchi a produrli, per terzi, con la stessa qualità o quasi. Ne abbiamo parlato per le varie paste a marchio “supermercato” per Esselunga, Coop, Carrefour, Conad. Stesso discorso per colombe e panettoni. Leggere le etichette è utile anche a capire il perché un ortaggio, un frutto, un prodotto costa poco: se prodotto/coltivato dall’altra parte del globo è molto probabile che sia stato raccolto acerbissimo, e che arrivi da trattamenti intensivi e celle refrigeranti: sicuri di voler risparmiare, per mangiare il nulla di sapore odore e nutrienti?
C’è sempre una ragione se un alimento costa molto poco, e c’è sempre qualcuno che paga a caro prezzo per concorrere al ribasso nel supermercato – e a casa vostra. Inoltre, è risaputo ormai che molti alimenti è bene pagarli di più. Sia chiaro: nessuno qui intende fare la morale, bensì solo e come sempre non nascondere alcun sassolino.
Riciclare e non sprecare
Pane, caffè, acqua di cottura, scarti di pesce e carne, avanzi, bucce di patate e ortaggi, torsoli e scorze, persino le briciole dei biscotti: potrei andare avanti all’infinito, consapevole di non scrivere nulla di nuovo. Intendo solamente rinnovare una giusta causa. La cucina italiana insegna tanto da questo punto di vista, da nord a sud, essendo principalmente vegetariana e povera. Si risparmia ad usare spina e testa di pesce e trasformarle in fumetto per paste e risotti, o le ossa e il grasso di tagli di carne e trasformarli in un ottimo brodo concentrato, o ancora i torsoli e le foglie o bucce e trasformarli in tisane/decotti/biscotti/chips.
Conservare nel modo corretto
Il concetto di risparmio è ampio e di non semplice argomentazione: cosa significa, esattamente, risparmiare? Risparmiare alla cassa del supermercato? Risparmiare tempo? Risparmiare nel senso ottimizzare per una massima resa? Tutte e tre le cose, forse. Una corretta conservazione del cibo può far risparmiare da tutti questi punti di vista:
- si risparmia alla cassa acquistando alimenti freschi non tagliati o confezionati (taglio e confezioni/imballaggi fanno aumentare il prezzo), né surgelati;
- si risparmia tempo perché si allunga la vita all’alimento;
- allungando la vita all’alimento si ottimizza il pasto, perché scarti e avanzi si trasformeranno in pasti futuri
Congelare e mettere sotto vuoto
Conservare, quindi, è risparmiare. La conservazione in congelatore è quella più comune, anche se ci si deve fare una cultura in merito perché il cibo è delicato e soggetto a proliferazione batterica nonché irrancidimento (attenzione anche alla fase di scongelamento). L’alternativa è il metodo sotto vuoto, o in sacchetti o in contenitori dai quali è possibile rimuovere l’aria: la shelf life degli alimenti si allunga vertiginosamente sia nel caso di cibi crudi sia nel caso di cibi cotti e avanzati.
L’economia domestica insegnata ai bambini
Si può spendere poco anche cucinando bene per tante persone, educando i piccoli al contempo. Con un paio di frutti e del cioccolato possiamo fare merende per più giorni spendendo davvero poco; aggiungendo pangrattato da pane vecchio a una teglia di verdure colorate (gambi e bucce compresi quando commestibili) da cuocere in forno arricchisce un semplice contorno fornendo anche carboidrati; asciugandoli da cotti in forno si ottengono ceci croccanti e nutrienti che nulla hanno da invidiare alle patatine, anzi.
Guardare sempre il prezzo al chilo
Esiste un fenomeno che si chiama shrinkgflation, ovvero inflazione nascosta: quando le aziende progettano packaging capienti e attraenti che danno l’idea di contenere molto (più) prodotto, quando vediamo alimenti che confezionati costano meno di altri ma se si guarda il prezzo al chilo si vede che sono in realtà molto più costosi, quando una confezione costa meno ma non è subito chiaro che contiene anche meno prodotto rispetto a prima. Ne parla molto bene il collega Dario de Marco in un articolo che parla di questo fenomeno. Si tratta di un inganno? Sì o meglio nì, ma conoscendo il meccanismo è una cosa facilmente aggirabile.
Girare per botteghe
La cosa che andrebbe compresa è che, per fare davvero economia, non si dovrebbe guardare solamente il prezzo del prodotto che acquistiamo né lo scontrino finale. Insisto nel suggerire che fa enorme differenza guardare il prezzo al chilo degli ingredienti e la carne ne è un ottimo esempio: la carne porzionata e confezionata può essere oggetto di super offerte, ma molto spesso – dal prezzo al chilo – si deduce che, acquistando il costo equivalente di prodotto ma sfuso in macelleria, si porta a casa molta più carne. Girare per gastronomie, mercati rionali, botteghe e macellerie o pescherie non è lusso ma accortezza. Oltre che responsabilità: esco brevemente fuori tema facendo notare che l’alimento sfuso è, tendenzialmente, meno soggetto ad allevamento/agricoltura intensive nonché di packaging e imballaggi inquinanti che il consumatore paga (e che potrebbe facilmente sostituire con ulteriore prodotto senza packaging).
Un ultimo concetto importante: se si cucina per tante persone, si è comunque tenuti a creare qualcosa di sensato e bilanciato. Non ha senso accumulare in un’unica pietanza più ingredienti che contengono gli stessi macronutrienti, se lo scopo è appunto risparmiare: perché aggiungere le patate nella pasta, se c’è già la pasta che è un carboidrato? Perché metterci tonno in scatola e anche formaggio, se c’è già il tonno che è una fonte proteica? Perché raddoppiare le fonti zuccherine in un dolce quando basterebbe metà dose di zucchero, o l’aggiunta di frutta troppo matura da riciclare? E, su questo punto, la mancanza di tempo non è una scusa che regge: per logica, se manca il tempo, dovrebbe essere più semplice dedicarsi a meno ingredienti. Anche questo significa risparmiare: eliminare il superfluo – dopotutto, se il motto “less is more” ha preso piede un motivo c’è.