Penne alla vodka? Probabilmente, non esiste piatto più mortificato e fuori moda delle cremose pennette rosate.
Finite nello scaffale delle “buone cose di pessimo gusto” degli anni ’80, insieme a cocktail di gamberetti, insalata russa e tortellini alla panna, la penne alla vodka hanno vissuto tre decenni fa il loro quarto d’ora di celebrità, per poi imboccare la strada di un inarrestabile declino che le ha relegate a piatto di serie B degno solamente di studenti insonni o di cuochi da operetta.
Rimosse da decenni dall’immaginario collettivo, il loro nome infamante è stato cancellato dai menù di tutti i ristoranti del mondo, condannandole a un oblio inesorabile a fronte di una colpa che non pare poi così chiara.
Già: ci siamo infatti mai chiesti perché?
Perché le penne rosate sono state dimenticate, nonostante si possano collocare, insieme alla pizza, tra i piatti “sempre buoni anche quando cattivi”?
Uno dei motivi è sicuramente che alle penne alla vodka manca un adeguato storytelling, una narrazione, un racconto, magari anche inventato ma comunque distintivo e accattivante.
Sarebbe infatti così popolare la carbonara, se non avesse alle spalle la storia dei soldati americani sbarcati in Italia alla fine della seconda guerra mondiale con tanto di razioni di uova liofilizzate e bacon?
E l’amatriciana, sarebbe altrettanto conosciuta senza la storia dei pastori laziali che portavano al pascolo il loro bestiame?
E la pasta alla Norma, allora, con tutta la faccenda dell’opera di Bellini di contorno?
E ancora la pesca Melba, i tournedos alla Rossini e la stessa pizza Margherita, sarebbero così famosi senza i i loro evocativi racconti?
Le penne alla vodka invece non hanno nessuna storia, e nemmeno padrini illustri o santi in paradiso, se non la semplice vodka.
Non si sa nemmeno chi le abbia inventate. C’è chi dice il ristorante Dante di Bologna negli anni ’80, chi l’Orsini di New York, nello stesso periodo, chi scomoda la Versilia, verso la fine degli anni ’70, quando dopo la discoteca ci si abbuffava con le saporite pennette.
Altro motivo del loro declino sarebbe l’inopportuno matrimonio di panna e pomodoro: secondo alcuni, mescolarli impunemente assieme significherebbe costringere due mondi opposti della cucina italiana nella stessa pentola: gli italiani del meridione con i pomodori, e quelli del nord con la panna. E nessuno dei due gradirebbe troppo di stare così vicino all’altro.
E soprattutto, nessuno dei due sembrerebbe gradire troppo di stare vicino alla vodka. Infatti, alcuni chef la omettono del tutto, sostenendo che pur variandone la quantità, o anche omettendola del tutto, il risultato finale in termini di gusto non cambierebbe affatto. Il successo della ricetta sarebbe dovuto solo alla bontà dei pomodori, all’aroma della cipolla, alla morbidezza della pasta e alla texture del sugo, e non all’aggiunta di vodka.
Ovviamente non tutti sono d’accordo con tale singolare opinione: alcuni ricercatori che hanno effettuato degli studi sugli effetti delle molecole di alcol sui cibi, sono arrivati alla conclusione che la vodka avrebbe un ben preciso ruolo nel sapore finale del piatto.
Ad ogni modo, vodka o non vodka, il momento della riscossa del morbido condimento rosa è giunto.
Nel ristorante Carbone di New York, ad esempio, le penne alla vodka (senza vodka), servite al bel prezzo di 26 dollari, sono diventate così popolari che levarle dal menù scatenerebbe la rivolta dei clienti, mentre sempre più ristoranti negli States le stanno portando in tavola.
E quindi, anche senza storytelling, e a volte pure senza il liquore che dà loro il nome, le cremose penne alla vodka, con il loro lento ritorno, sono comunque testimoni di una grande verità: quando un piatto è veramente buono non muore, né viene dimenticato per sempre, ma ritorna. Anche a distanza di decenni.